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La storia di Psychic detective Yakumo nasce da una novel, la quale successivamente è stata riadattata in due manga e in questo anime.
Sinceramente mi aspettavo molto da questa serie: il genere prometteva bene (connubio fra mistero, commedia e detective story), la grafica non mi sembrava male e la base narrativa era abbastanza intrigante. Quello che mi è rimasto alla fine della visione dei 13 episodi è, invece, soprattutto delusione. Delusione perché la trama si è rivelata un flop man mano che la serie proseguiva e delusione perché la storia non finisce (e apre ad un possibile sequel).

Le vicende ruotano intorno a Yakumo Saitou, normalissimo ragazzo universitario, se non per il fatto che possieda un occhio color rosso rubino in grado di vedere i fantasmi. Di per se non c’è niente di straordinario, oramai siamo abituati a personaggi che vedono spiriti a destra e a manca, ma la peculiarità della serie è il comportamento del protagonista di fronte al suo “dono”. Yakumo odia con tutto il cuore il fatto di essere diverso (nasconde l’occhio con una lente a contatto), ma nonostante questo, sfrutta il suo potere per portare sollievo alle anime dei vari fantasmi; quell’ occhio è il simbolo di tutte le sue sofferenze e del suo passato che lo perseguita.
Di fianco a questo personaggio enigmatico mettiamoci la solita ragazza impietosita e dal “cuore gentile” ed otteniamo la coppia Yakumo- Haruka Ozawa. Mi sono chiesto più di una volta, durante la visione, perché, dopo aver creato una figura curiosa e fuori dai soliti schemi, la narrazione debba essere obbligatoriamente normalizzata e livellata verso il basso. La risposta non l’ho trovata.

Tutte le vicende inizialmente si incentrano sulla risoluzione di vari casi in cui sono implicati spiriti e maledizioni, ma con l’avanzare della visione la storia cambia target. Il passato del protagonista la “fa da padrone”, tutti gli avvenimenti e i personaggi che hanno segnato la crescita (nel bene o nel male) di Yakumo incominciano a comparire e a scompaginare la serenità trovata negli anni.
La storia sembra infine implodere nella battaglia fra bene e male. I produttori non attuano compromessi: o si è l’incarnazione della malvagità o un angelo salvatore; come si dice, “non esistono più le mezze stagioni”.

Dal punto di vista grafico, la serie parte alla grande, facendoci pregustare un buon livello tecnico. Come non detto. Spesso, nel corso della visione, si hanno dei cali inquietanti: proporzioni sbagliate, senso della profondità assente… La Bee Train ha realizzato lavori migliori.
Sulla musica ho invece poche recriminazioni: l’opening di Ono “Key” è forse ciò che si eleva di più nell’ambito melodico, ma tutto sommato la colonna sonora è discreta.

In fin dei conti di Psychic detective Yakumo mi ha illuso, non è che si tratti di una brutta serie, ma quando le aspettative sono alte, inevitabilmente lo spettatore richiede di più. Sufficienza tirata per i capelli.