Recensione
A Town Where You Live
5.0/10
Manga realizzato da Seo Kouji, stesso autore della famosa serie Suzuka (manga e anime di una decina d’anni fa). Kimi no Iru machi non si discosta da quello che era il suo predecessore cartaceo e, anzi, cerca di aggiungere sempre più romanticismo e i colpi di scena tipici della commedia scolastica giapponese.
Attratto da questo manga più per la bellezza dei sui disegni che dalla storia in sé, esso si è dimostrato esattamente ciò che mi aspettavo.
La storia segue le cotte e gli amori di Haruto, ragazzo di campagna che, spinto dalla passione per l’una o l’altra ragazza, viene sballottato qua e là dall’autore. Sembrerà riduttivo, ma il succo della vicenda è esattamente questo, nulla di più nulla di meno.
Non vi è mai niente che possa aggiungere un tocco di freschezza e imprevedibilità alla narrazione: tutto è sempre limitato e incatenato ai soliti stereotipi, che possono anche piacere all’inizio, ma che alla lunga diventano noiosi e ripetitivi.
Mi spiego meglio: Haruto è il classico pupazzo nelle mani dell’autore, il suo cuore non è mai deciso e sicuro su una scelta e, anche nelle rare volte in cui la compie, tutto ciò serve solo per allungare la solita brodaglia trita e ritrita (errore che secondo me era presente anche in Suzuka).
La trama è da dividersi in due archi narrativi: il primo incentrato sulla vita nella campagna di Nagasaki e sul primo amore del protagonista, il secondo sulla decisione di trasferirsi a Tokyo alla ricerca della “bella” di turno. Come se non bastasse Seo Kouji aggiunge il classico “drammone” per scompaginare le carte in tavola (o forse per liberarsi di un personaggio diventato scomodo).
Dal punto di vista grafico Kimi no iru machi è decisamente valido: sfondi molto curati e uno stile piacevole, anche se un po’ monotono e standardizzato. Ma questo non basta per risollevare la mia valutazione sull’opera.
Attratto da questo manga più per la bellezza dei sui disegni che dalla storia in sé, esso si è dimostrato esattamente ciò che mi aspettavo.
La storia segue le cotte e gli amori di Haruto, ragazzo di campagna che, spinto dalla passione per l’una o l’altra ragazza, viene sballottato qua e là dall’autore. Sembrerà riduttivo, ma il succo della vicenda è esattamente questo, nulla di più nulla di meno.
Non vi è mai niente che possa aggiungere un tocco di freschezza e imprevedibilità alla narrazione: tutto è sempre limitato e incatenato ai soliti stereotipi, che possono anche piacere all’inizio, ma che alla lunga diventano noiosi e ripetitivi.
Mi spiego meglio: Haruto è il classico pupazzo nelle mani dell’autore, il suo cuore non è mai deciso e sicuro su una scelta e, anche nelle rare volte in cui la compie, tutto ciò serve solo per allungare la solita brodaglia trita e ritrita (errore che secondo me era presente anche in Suzuka).
La trama è da dividersi in due archi narrativi: il primo incentrato sulla vita nella campagna di Nagasaki e sul primo amore del protagonista, il secondo sulla decisione di trasferirsi a Tokyo alla ricerca della “bella” di turno. Come se non bastasse Seo Kouji aggiunge il classico “drammone” per scompaginare le carte in tavola (o forse per liberarsi di un personaggio diventato scomodo).
Dal punto di vista grafico Kimi no iru machi è decisamente valido: sfondi molto curati e uno stile piacevole, anche se un po’ monotono e standardizzato. Ma questo non basta per risollevare la mia valutazione sull’opera.