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7.0/10
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Dare meno di 7 a un'opera del genere sarebbe disonesto, ma la delusione a caldo mi spingerebbe ad una sufficienza scarsa. Ho impiegato 15 anni a finire questa serie. Sì, 15 anni, non scherzo. Innamorato di 20th Century Boys dello stesso Urasawa, iniziai il manga quando uscì la prima stampa di Monster Deluxe e poi passai all'anime perché fedelissimo ma più scorrevole data la natura particolarmente lenta dell'opera. Ma l'ho ripresa e sospesa continuamente nel corso degli anni perché, pur intrigato, curioso e già affezionato ad alcuni personaggi, spesso non riuscivo ad esserne coinvolto e a trovare interessanti le varie sottotrame che di capitolo in capitolo venivano intessute. Finalmente, ieri, dopo una maratona finale di 30 episodi durata un weekend intero, l'ho finita. E in bocca mi resta perlopiù amarezza.

Il problema più grande di questa storia è la quantità allucinante di carne che viene messa a cuocere e bruciata. Urasawa si è dimostrato un maestro nel tessere una fitta rete di relazioni umane e interconnessioni in 20th Century Boys, in cui queste sono gestite in modo impeccabile fino alla fine, ma qui si nota ancora una certa immaturità nel farlo. Le relazioni sono troppe e spesso se ne perde il filo, ma il problema è che ancor più spesso non si rivelano poi così ben sviluppate e gli aspetti più significativi e che più si desidera vengano approfonditi vengono lasciati nell'ombra. La cosa peggiore è che questo viene fatto con i personaggi più importanti e, devo dire, colui che viene approfondito meno e peggio è proprio l'antagonista principale, Johan che, fino alla fine, manterrà la sua patina sovrannaturale e misteriosa perdendo però al contempo il fascino che lo aveva caratterizzato nella prima parte.

Eccessiva, poi, la volontà di redimere qualunque personaggio negativo. Sì, Urasawa è un maestro anche nel raccontare il lato umano dei personaggi più disumani e a farti empatizzare addirittura con loro, è vero. Ma qui ho trovato forzata la volontà di far uscire in qualche modo "puliti", attraverso un pentimento pressoché costante di qualunque cattivo e forzate epifanie improvvise, praticamente tutti. Così come forzata risulta, soprattutto nelle battute finali nel suo comportamento nei confronti di due personaggi in particolare (Eva e Johann) l'impeccabilità morale del protagonista, Tenma, un uomo artificialmente incapace di provare qualsivoglia emozione negativa che non sia la tristezza o il senso di colpa, ma del tutto incapace di provare rabbia, odio o rancore anche nei confronti di chi gli strapperebbe con giuste ragioni tali sentimenti dal petto.

Ma, soprattutto, è un'opera che sarebbe potuta durare molto meno: riducendo la quantità di personaggi e trame secondarie e alzando leggermente il ritmo della narrazione principale, a mio avviso ne avrebbe giovato tantissimo.

Per il resto, siamo comunque al cospetto di Naoki Urasawa e della sua capacità di farti affezionare a un personaggio in modo rapidissimo scendendo nella sua profondità in modo quasi immediato, disegnandogli una certa espressione sul viso, conferendogli un tratto di unicità, facendogli pronunciare una determinata frase o semplicemente facendo emergere il suo lato più umano con la maestria di un fine psicologo. Peccato che, però, il tentativo dell'opera stessa di essere psicologica si riveli alla fine piuttosto vuoto perché, in se stessa, essa risulta in tal senso perlopiù forzata e non sufficientemente approfondita.