Super Mario Bros: The Lost Levels
“Super Mario Bros: The Lost Levels” altro non è che il vero “Super Mario Bros. 2” uscito originariamente in Giappone nel 1986 e rimasto sconosciuto in occidente fino all’uscita della collection “Super Mario All-Stars” nei primi anni Novanta, che ne comprendeva una versione remake a 16 bit. Il motivo, piuttosto noto, per cui questo capitolo non venne portato in occidente nei primi anni di pubblicazione sta nella difficoltà, che venne reputata troppo alta e si preferì creare un altro “Super Mario Bros. 2” completamente diverso ispirato a un gioco che non apparteneva neanche alla serie, ovvero “Doki Doki Panic”. Credo oltretutto che la versione originale a 8 bit sia rimasta inedita in occidente per ancora più tempo, fino alla pubblicazione su Virtual Console. Io personalmente l’ho giocato su 3DS, ma volendo è possibile recuperarlo anche su Switch con l’abbonamento NSO.
Per me si trattava di un recupero dettato sia dalla voglia di giocare tutti i titoli della serie, ma anche dalla curiosità verso il gioco in sé e soprattutto verso la sua famigerata difficoltà. Mi chiedevo quanto potesse essere difficile un sequel del primo “Super Mario Bros.” gioco straordinario e che tra le altre cose poteva vantare una difficoltà crescente e complessivamente corretta per i suoi anni. Insomma, ammetto di aver pensato che potesse trattarsi di un mito un po’ gonfiato dalla complessità della pubblicazione che lo portò in occidente. Dopo averlo completato, mi sento di dire che la reputazione di gioco difficile se la merita tutta e che il sottotitolo occidentale sia fin troppo azzeccato. Partirei proprio analizzando il bilanciamento della difficoltà di questo gioco che, a mio avviso, risulta fin troppo impreciso se paragonato al primo capitolo. La difficoltà, infatti, è stata elevata artificiosamente ricorrendo ad un level design fin troppo punitivo e criptico. I livelli infatti sono costruiti per non dare tregua al giocatore, i nemici sono ovunque e in numero molto elevato, e anche le trappole sono state posizionate come se non ci fosse un domani (in particolare le lame fiammeggianti nei castelli sono in ogni dove). Ma ciò in cui si nota maggiormente la differenza rispetto al primo capitolo sono i salti. In questo gioco, i salti che il giocatore deve compiere per proseguire nei livelli richiedono un grado di precisione a dir poco maniacale e spesso le piattaforme di arrivo sono piccolissime o addirittura si è costretti a saltare precedentemente su dei nemici per arrivarci. Questo vale praticamente per ogni livello, dove al giocatore viene richiesta la perfezione e il margine d’errore che l’esperienza offre è inesistente. L’elemento più esasperante però sta in quegli schemi poco intuitivi che solitamente nei giochi di Mario sono presenti in modo sporadico, ma che qui sono la regola per la maggior parte dei livelli. Mi riferisco al fatto che spesso bisogna scovare dei blocchi invisibili per avanzare, cosa per la quale in parte si prende la mano, ma che all’inizio lascia un po’ spiazzati. Ciò a cui io sicuramente non mi sono abituato sono i livelli che si ripetono in loop se non vengono attraversati in una certa maniera. Questo schema è stato abusato fino allo sfinimento ed è onestamente l’aspetto che ricordo con meno piacere di questo gioco. Insomma, il level design è stato a dir poco forzato per proporre una difficoltà artificiosa un po’ innaturale rispetto al gioco precedente. Sia ben chiaro, proprio in virtù di una difficoltà così alta, il gioco è in grado di regalare grandi soddisfazioni. Il problema sta nell’immediato paragone che sorge con il predecessore, molto più corretto ed equilibrato. Per tutto il resto non c’è molto da dire, visto che il gioco come gameplay, grafica e musiche è lo stesso identico di un anno prima. Il che è complessivamente una buona cosa, visto che il predecessore raggiungeva l’eccellenza quasi su tutto e non vi era una seria necessità di cambiamento, se non appunto nella struttura dei livelli che ne giustifica l’esistenza. Rimane il fatto che non c’è davvero nessuna innovazione degna di nota, i nemici, gli ambienti e tutto il resto sono esattamente gli stessi.
Il primo “Super Mario Bros.” era un capolavoro e questo seguito altro non è che un “more of the same” con una difficoltà molto più alta e purtroppo anche più sbilanciata e scorretta. Tutto ciò in cui il primo gioco brillava è stato conservato quasi alla perfezione, con la parziale eccezione dei controlli che in un level design così infame sembrano invecchiati all’improvviso. In compenso, il gioco non propone nulla di nuovo a livello di contenuti e quindi per assurdo, l’unico aspetto memorabile che l’esperienza sa dare è proprio l’alta difficoltà. Personalmente mi sono comunque divertito parecchio giocando questo sequel e se siete amanti della serie è chiaramente da recuperare, ma occhio, perché il titolo occidentale, nel bene o nel male, non mente.
Per me si trattava di un recupero dettato sia dalla voglia di giocare tutti i titoli della serie, ma anche dalla curiosità verso il gioco in sé e soprattutto verso la sua famigerata difficoltà. Mi chiedevo quanto potesse essere difficile un sequel del primo “Super Mario Bros.” gioco straordinario e che tra le altre cose poteva vantare una difficoltà crescente e complessivamente corretta per i suoi anni. Insomma, ammetto di aver pensato che potesse trattarsi di un mito un po’ gonfiato dalla complessità della pubblicazione che lo portò in occidente. Dopo averlo completato, mi sento di dire che la reputazione di gioco difficile se la merita tutta e che il sottotitolo occidentale sia fin troppo azzeccato. Partirei proprio analizzando il bilanciamento della difficoltà di questo gioco che, a mio avviso, risulta fin troppo impreciso se paragonato al primo capitolo. La difficoltà, infatti, è stata elevata artificiosamente ricorrendo ad un level design fin troppo punitivo e criptico. I livelli infatti sono costruiti per non dare tregua al giocatore, i nemici sono ovunque e in numero molto elevato, e anche le trappole sono state posizionate come se non ci fosse un domani (in particolare le lame fiammeggianti nei castelli sono in ogni dove). Ma ciò in cui si nota maggiormente la differenza rispetto al primo capitolo sono i salti. In questo gioco, i salti che il giocatore deve compiere per proseguire nei livelli richiedono un grado di precisione a dir poco maniacale e spesso le piattaforme di arrivo sono piccolissime o addirittura si è costretti a saltare precedentemente su dei nemici per arrivarci. Questo vale praticamente per ogni livello, dove al giocatore viene richiesta la perfezione e il margine d’errore che l’esperienza offre è inesistente. L’elemento più esasperante però sta in quegli schemi poco intuitivi che solitamente nei giochi di Mario sono presenti in modo sporadico, ma che qui sono la regola per la maggior parte dei livelli. Mi riferisco al fatto che spesso bisogna scovare dei blocchi invisibili per avanzare, cosa per la quale in parte si prende la mano, ma che all’inizio lascia un po’ spiazzati. Ciò a cui io sicuramente non mi sono abituato sono i livelli che si ripetono in loop se non vengono attraversati in una certa maniera. Questo schema è stato abusato fino allo sfinimento ed è onestamente l’aspetto che ricordo con meno piacere di questo gioco. Insomma, il level design è stato a dir poco forzato per proporre una difficoltà artificiosa un po’ innaturale rispetto al gioco precedente. Sia ben chiaro, proprio in virtù di una difficoltà così alta, il gioco è in grado di regalare grandi soddisfazioni. Il problema sta nell’immediato paragone che sorge con il predecessore, molto più corretto ed equilibrato. Per tutto il resto non c’è molto da dire, visto che il gioco come gameplay, grafica e musiche è lo stesso identico di un anno prima. Il che è complessivamente una buona cosa, visto che il predecessore raggiungeva l’eccellenza quasi su tutto e non vi era una seria necessità di cambiamento, se non appunto nella struttura dei livelli che ne giustifica l’esistenza. Rimane il fatto che non c’è davvero nessuna innovazione degna di nota, i nemici, gli ambienti e tutto il resto sono esattamente gli stessi.
Il primo “Super Mario Bros.” era un capolavoro e questo seguito altro non è che un “more of the same” con una difficoltà molto più alta e purtroppo anche più sbilanciata e scorretta. Tutto ciò in cui il primo gioco brillava è stato conservato quasi alla perfezione, con la parziale eccezione dei controlli che in un level design così infame sembrano invecchiati all’improvviso. In compenso, il gioco non propone nulla di nuovo a livello di contenuti e quindi per assurdo, l’unico aspetto memorabile che l’esperienza sa dare è proprio l’alta difficoltà. Personalmente mi sono comunque divertito parecchio giocando questo sequel e se siete amanti della serie è chiaramente da recuperare, ma occhio, perché il titolo occidentale, nel bene o nel male, non mente.