Castlevania: Rondo of Blood
Nella prima metà degli anni Novanta, la saga di Castlevania aveva iniziato a sfornare diversi titoli di spessore, seppur per piattaforme differenti. Dopo l’eccelso “Super Castlevania IV” uscito nel 1991 per SNES era seguito due anni dopo un capitolo di buona fattura come “Castlevania Chronicles” che tuttavia sembrava ancora troppo legato a degli schemi di gioco ormai superati e in sostanza privo di grandi innovazioni. Ecco però, che sempre nel 1993 vede la luce uno dei capitoli più riusciti dell’intera saga: “Akumajou Dracula X: Chi no Rinne” per PC Engine. Come suggerisce il titolo originale, la X indica che siamo di fronte al decimo capitolo di questa saga, e malgrado le indubbie qualità del prodotto, sarebbe purtroppo rimasto inedito in occidente fino al 2007/08, quando verrà incluso come contenuto bonus nel remake per PSP: “Castlevania: The Dracula X Chronicles”.
Insomma, siamo di fronte all’ennesimo gioco di Castlevania che ha avuto una pubblicazione molto travagliata e non bisogna confondere il titolo per SNES del 1995: “Castlevania Vampire’s Kiss”, uscito subito anche in Europa e negli USA, come un porting, perché al netto di qualche elemento in comune, si tratta di due giochi estremamente diversi.
Dopo aver chiarito le vicende relative alla pubblicazione, è necessario comprendere perché “Castlevania: Rondo of Blood” (Così è stato tradotto in occasione dell’uscita su PSP) sia effettivamente uno dei capitoli migliori della saga di appartenenza.
Il primo aspetto a colpire il giocatore è certamente quello tecnico-artistico. “Castlevania: Rondo of Blood” è un gioco semplicemente stupendo, e la sua estetica è di una qualità tale che ancora oggi è una bellezza per gli occhi. Il remake per PSP in confronto è invecchiato molto peggio per dire, nonostante per i suoi tempi non fosse affatto male. Oltre all’ottima qualità delle animazioni e degli sfondi, il gioco è impreziosito anche da diverse cutscene molto accattivanti e, per la prima volta, di un doppiaggio. Il lato sonoro, come da tradizione per questa saga, è semplicemente clamoroso, con una colonna sonora che non verrà dimenticata facilmente.
Il Gameplay è rimasto per sommi capi quello che abbiamo imparato a conoscere fin dal primo capitolo, con qualche aggiunta interessante e con un’unica pecca. Le aggiunte consistono in una migliore gestione delle armi secondarie, in una mossa speciale per ciascuna di esse e nella possibilità di effettuare un doppio salto all’indietro. Tutto questo senza considerare la presenza di un secondo personaggio giocabile. Se il protagonista, Richter Belmont, rappresenta il gameplay tradizionale tipico della serie, Maria Renard possiede degli oggetti completamente dedicati e delle mosse molto particolari. L’unica mancanza per me è rappresentata dal fatto che Richter non può indirizzare la propria frusta quando colpisce. Non solo non c’è la libertà che si era vista nel capitolo per SNES, dove con la frusta potevi letteralmente fare tutto quello che volevi, ma nemmeno il colpo verso il basso che era stato mantenuto in “Castlevania Chronicles”. Questo fatto finisce per consegnare al giocatore un’esperienza un po’ paradossale quando si affrontano i nemici, perché in questo modo le battaglie più pericolose non sono quelle con scheletri, zombi o cavalieri, ma quelle con i nemici più piccoli: pipistrelli, uccelli e ovviamente, le immancabili teste di medusa. Al netto di questo difetto che rende certe fasi un po’ frustranti, c’è da dire che i controlli sono ottimi e fanno di questo titolo il Castlevania più fluido e reattivo visto finora.
I livelli sono stati realizzati molto bene, nascondono spesso delle strade alternative, dei segreti e delle vere e proprie versioni parallele con boss finali differenti. Il gioco è molto più moderno dei suoi predecessori anche in quanto ad accessibilità, ogni livello sbloccato è selezionabile dal menù al quale si può tornare in qualsiasi momento. Le atmosfere del gioco sono molto ispirate, ma ci si discosta notevolmente dai toni classici della serie. Sembra di non essere più in Europa ma in Giappone e l’estetica generale ricorda molto i popolari manga shonen della prima metà degli anni Novanta come “Yu degli Spettri” o “Kenshin, Samurai Vagabondo”. Il che non mi dispiace, ma spero che per i prossimi capitoli si torni a qualcosa che ricordi maggiormente la Transilvania.
Ovviamente non si può parlare di un Castlevania senza discutere della sua difficoltà. Ebbene, “Castlevania: Rondo of Blood” è certamente uno dei titoli più corretti e accessibili di quelli visti finora per questa saga, ma il salto di qualità definitivo deve essere ancora compiuto. Tra l’impossibilità di non usare la frusta in tutte le direzioni, la presenza di livelli molto lunghi, pochi oggetti per il recupero della salute e danni molto alti da parte dei nemici, l’esperienza a volte rischia di essere comunque frustrante e in buona parte legata ancora al passato.
Ad ogni modo, “Castlevania: Rondo of Blood” è uno dei capitoli più riusciti fino a questo momento per la saga, con un impianto tecnico sontuoso, un gameplay consolidato e tante innovazioni rispetto ai giochi precedenti. Ancora una volta, superare gli splendidi, ma spietati livelli di gioco sarà una gara di resistenza irresistibile.
Insomma, siamo di fronte all’ennesimo gioco di Castlevania che ha avuto una pubblicazione molto travagliata e non bisogna confondere il titolo per SNES del 1995: “Castlevania Vampire’s Kiss”, uscito subito anche in Europa e negli USA, come un porting, perché al netto di qualche elemento in comune, si tratta di due giochi estremamente diversi.
Dopo aver chiarito le vicende relative alla pubblicazione, è necessario comprendere perché “Castlevania: Rondo of Blood” (Così è stato tradotto in occasione dell’uscita su PSP) sia effettivamente uno dei capitoli migliori della saga di appartenenza.
Il primo aspetto a colpire il giocatore è certamente quello tecnico-artistico. “Castlevania: Rondo of Blood” è un gioco semplicemente stupendo, e la sua estetica è di una qualità tale che ancora oggi è una bellezza per gli occhi. Il remake per PSP in confronto è invecchiato molto peggio per dire, nonostante per i suoi tempi non fosse affatto male. Oltre all’ottima qualità delle animazioni e degli sfondi, il gioco è impreziosito anche da diverse cutscene molto accattivanti e, per la prima volta, di un doppiaggio. Il lato sonoro, come da tradizione per questa saga, è semplicemente clamoroso, con una colonna sonora che non verrà dimenticata facilmente.
Il Gameplay è rimasto per sommi capi quello che abbiamo imparato a conoscere fin dal primo capitolo, con qualche aggiunta interessante e con un’unica pecca. Le aggiunte consistono in una migliore gestione delle armi secondarie, in una mossa speciale per ciascuna di esse e nella possibilità di effettuare un doppio salto all’indietro. Tutto questo senza considerare la presenza di un secondo personaggio giocabile. Se il protagonista, Richter Belmont, rappresenta il gameplay tradizionale tipico della serie, Maria Renard possiede degli oggetti completamente dedicati e delle mosse molto particolari. L’unica mancanza per me è rappresentata dal fatto che Richter non può indirizzare la propria frusta quando colpisce. Non solo non c’è la libertà che si era vista nel capitolo per SNES, dove con la frusta potevi letteralmente fare tutto quello che volevi, ma nemmeno il colpo verso il basso che era stato mantenuto in “Castlevania Chronicles”. Questo fatto finisce per consegnare al giocatore un’esperienza un po’ paradossale quando si affrontano i nemici, perché in questo modo le battaglie più pericolose non sono quelle con scheletri, zombi o cavalieri, ma quelle con i nemici più piccoli: pipistrelli, uccelli e ovviamente, le immancabili teste di medusa. Al netto di questo difetto che rende certe fasi un po’ frustranti, c’è da dire che i controlli sono ottimi e fanno di questo titolo il Castlevania più fluido e reattivo visto finora.
I livelli sono stati realizzati molto bene, nascondono spesso delle strade alternative, dei segreti e delle vere e proprie versioni parallele con boss finali differenti. Il gioco è molto più moderno dei suoi predecessori anche in quanto ad accessibilità, ogni livello sbloccato è selezionabile dal menù al quale si può tornare in qualsiasi momento. Le atmosfere del gioco sono molto ispirate, ma ci si discosta notevolmente dai toni classici della serie. Sembra di non essere più in Europa ma in Giappone e l’estetica generale ricorda molto i popolari manga shonen della prima metà degli anni Novanta come “Yu degli Spettri” o “Kenshin, Samurai Vagabondo”. Il che non mi dispiace, ma spero che per i prossimi capitoli si torni a qualcosa che ricordi maggiormente la Transilvania.
Ovviamente non si può parlare di un Castlevania senza discutere della sua difficoltà. Ebbene, “Castlevania: Rondo of Blood” è certamente uno dei titoli più corretti e accessibili di quelli visti finora per questa saga, ma il salto di qualità definitivo deve essere ancora compiuto. Tra l’impossibilità di non usare la frusta in tutte le direzioni, la presenza di livelli molto lunghi, pochi oggetti per il recupero della salute e danni molto alti da parte dei nemici, l’esperienza a volte rischia di essere comunque frustrante e in buona parte legata ancora al passato.
Ad ogni modo, “Castlevania: Rondo of Blood” è uno dei capitoli più riusciti fino a questo momento per la saga, con un impianto tecnico sontuoso, un gameplay consolidato e tante innovazioni rispetto ai giochi precedenti. Ancora una volta, superare gli splendidi, ma spietati livelli di gioco sarà una gara di resistenza irresistibile.