Un’icona nasce per uno scopo e un ruolo soltanto, mantenendolo (lasciando perdere Super Mario e i suoi mille excursus sportivi, medici o che), e Nathan Drake apparentemente fa parte del club: in Uncharted Drake’s Fortune (2007) ne facciamo la conoscenza, è un cacciatore di tesori in cerca di tesori, così nel sequel Among Thieves (2009), così nel terzo capitolo Drake’s Deception (2011), cambiano le situazioni, cambiano le location, ma non cambia la sostanza. Questo perché Uncharted è una serie d’avventura e lo scopo è cercare un tesoro, sembra una cosa banale ma un attimo: e se Naughty Dog provasse ad andare oltre? Un cacciatore di tesori quando smette di cacciare tesori? La rinuncia, a quell’attraente immobilismo a cui si faceva cenno all’inizio, in favore di una maturità per una serie che per sua natura potrebbe non averne bisogno, con tutti i rischi che questo comporta.
Uncharted 4: A Thief’s End non è quindi solo l’Uncharted di nuova generazione, è uno step successivo, l’ennesimo della casa californiana, che non paga del trionfo di The Last of Us (2013) insegue ulteriori vie di narrazione alla ricerca di un modo per stupire il fruitore dopo un non memorabile terzo capitolo, reo di aver offerto un’esperienza troppo fuggente per lasciare il segno.
Uncharted per il suo capitolo conclusivo ha quindi voluto fare le cose in grande, ampliando la componente narrativa e provando a dare un maggiore spessore all’intera vicenda. Un paragone è Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots, giocandolo si ha quella medesima sensazione di star vivendo l’ultima avventura, come ci fosse un countdown invisibile tanto lento quanto inesorabile ad accompagnarci verso il finale, che in cuor nostro speriamo non arrivi mai. A Thief’s End riesce però laddove Hideo Kojima in parte fallì: è un videogioco semplice ma con gli attributi.
Eravamo rimasti alla Nathan Drake Collection, un piacevole ripasso per i fan, una collezione importante per tutti coloro che non ebbero modo di vivere le avventure di Nate. Ci eravamo lasciati alla città sepolta nel deserto di Uncharted 3, Drake e Sally, al solito quasi a mani vuote, che si allontanano a cavallo e la love story con Elena finalmente compiuta, e vissero felici e contenti. Che noia, poteva essere questo l’ultimo atto di Uncharted?
Sono passati diversi anni dall’ultima avventura, Nathan ha comprato casa con Elena e conduce con lei una vita ordinaria, con un lavoro ordinario a riempire le giornate passate, che fra un’immersione e una partita alla PlayStation passano tranquille. Ogni tanto al nostro capita di ricevere qualche allettante offerta per una ricerca di chissà quale tesoro in qualche angolo del mondo, ma il suo rifiuto è categorico, ha dato un taglio netto con quella vita spericolata: Nathan Drake è ora un uomo ordinario. Con una sgangherata soffitta adibita a “deposito di cimeli”, Nate non manca di ricordare con una certa nostalgia i suoi viaggi e gli incredibili luoghi visitati in passato, ma nonostante qualche tentennamento il nostro protagonista sembra ormai resistere del tutto al richiamo dell’avventura.
L’incontro con il suo ritrovato fratello, creduto morto a seguito di una disperata fuga da una prigione 15 anni addietro, assume l’aspetto di un fulmine a ciel sereno sulla routine quotidiana di Nathan. Samuel Drake ha infatti contratto un enorme debito dal pericoloso boss della malavita Hector Alcazar, suo compagno di cella, che lo ha aiutato a fuggire di prigione dopo aver ascoltato la sua storia sul tesoro del pirata Henry Avery, un enorme bottino che Sam e Drake stavano cercando insieme ad un atro socio: Rafe.
Con pochi mesi concessi da Hector a Sam per trovare il tesoro, Nate si vede costretto ad aiutare suo fratello in questa disperata impresa, e come se non bastasse anche il loro vecchio socio Rafe è sulle sue tracce, forte di un’alleanza con la caparbia Nadine Ross e il suo esercito di mercenari.
Uncharted 2 iniziava catapultandoci in un evento futuro (la celebre sequenza del treno), Uncharted 3 ci portava nel passato (l’incontro tra un giovane Nate e Sullivan). Il quarto capitolo, quasi ad elevarsi a summa dei due, fa entrambe le cose. La scena a bordo di una barca in un mare in tempesta su cui il gioco evidentemente tornerà, lascia il posto ad un capitolo ambientato durante l’infanzia di Drake, allo scopo di presentarci suo fratello in prigione, per poi fare un ulteriore passo in avanti nel tempo, con il capitolo della prigione. Nel primo quarto di gioco le scene di intermezzo sono molte, nonché più lunghe rispetto a quanto ci ha abituato la serie, e se questo ha il pregio di approfondire i personaggi in scena, potrebbe far storcere il naso a coloro che amano catapultarsi subito nell’azione.
Fortunatamente non bisognerà attendere molto prima che Uncharted torni a fare l’Uncharted, fra infiltrazioni, sparatorie e inseguimenti mozzafiato, riuscendo a conti fatti a raggiungere quella perfetta armonia tra narrato e giocato, a lungo inseguita negli anni passati.
In Uncharted 4 non si ha mai quella sensazione di “ok posa il pad, ora tocca ai 20 minuti di telefilm”: nel lavoro Naughty Dog il giocatore è prima di tutto, merito di un ormai inesistente minimo stacco tra cut-scene, ora calcolate totalmente in tempo reale, e mondo di gioco, in una perfetta simbiosi tra regia cinematica e game design, con il risultato che avremo il sentore di aver vissuto una grande avventura dall’inizio alla fine, e non di aver assistito ad una storia intervallata da qualche fase ludica.
La storia di Uncharted 4 è una storia di fratellanza, di scelte e di conflitti, ma soprattutto è la storia di una vita, quella di Drake, ora ad un bivio definitivo, con il tema del viaggio anche questa volta allegoria di un percorso di esistenza. Gli sguardi, tanti e magistrali, mai come in questo “gioco” raccontano più delle parole stesse, con il duo Neil Druckman e Bruce Straley che in tal senso si ripete alla direzione, dopo l’emozionante The Last of Us, senza però andare a contaminare lo spirito di una serie ad esso così distante come lo è Uncharted. Dire oltre si incapperebbe nel facile spoiler, ma va rimarcato il come Naughty Dog sappia toccare le corde giuste anche sul lato nostalgico; fin dai titoli di coda di Crash Team Racing, che ripercorrevano con delle illustrazioni la trilogia originale, tramite Uncharted 4 ci ricaschiamo con una splendida sequenza introduttiva, la stessa soffitta di Drake e pure una simpatica sequenza di gioco-nel-gioco che va ben oltre il banale easter egg, tant’è perfettamente integrata nel contesto.
Sulla parte giocata le parole d’ordine sono “varietà” e “armonia”. La varietà è concessa dall’ambiente, ora più vasto che mai, con aree che si stagliano non solo in metratura ma anche in altezza, e grazie alla corda di Drake è ora possibile attaccare dall’alto o penzolare come una scimmia sulle varie pendenze di gioco. Pur premiando un sistema stealth, questo, nonostante alcune novità, come la possibilità di “marchiare” i nemici, non si dimostra sufficientemente profondo (non è per esempio possibile spostare i corpi come in Metal Gear Solid) da risultare imprescindibile; con una discreta amministrazione ambientale (coperture), granate e scazzottate, Uncharted 4 è terminabile anche con un approccio “alla Rambo”, lasciando al giocatore libertà di scelta. Dopo le oculate bottigliate/mattonate tirate in testa ai mutanti di The Last of Us, si torna quindi all’ignoranza di Uncharted votata ad un più spensierato divertimento action fracassone, è pertanto consigliabile selezionare subito una difficoltà più alta per chi è in cerca di una sfida maggiore grazie ad una IA notevolmente migliorata (questo dopo The Last of Us), che vede i nemici pattugliare zone più ampie e comportarsi diversamente in base all’ambiente circostante.
L’armonia è quella che unisce invece le due anime della serie Uncharted: esplorazione e azione. La schematicità dei primi capitoli (specie il primo) che vedeva il gioco progredire ad un ritmo binario (arrampicata, piazzola con sparatoria, arrampicata, piazzola con sparatoria) è ormai un retaggio del passato: in Uncharted 4 l’azione è perfettamente integrata in qualunque contesto e può impostarsi in qualunque momento, con il risultato che nessuna delle due prevale sull’altra, complice anche un magistrale utilizzo della telecamera. Tornano inoltre le fasi su veicoli, e veniva da chiedersi perché già in Drake’s Fortune si poteva risalire le rapide su una moto d’acqua, mentre nei suoi due sequel, niente. Laddove però in Uncharted 1 era il gioco a dirti quando salire e quando scendere dalla moto d’acqua, senza più risalirne, in Uncharted 4 i veicoli sono parte integrante dell’esplorazione, sia per la Jeep che per quanto riguarda la barca. Presente all’appello anche la “terza anima” della serie, anche se, pure questa volta, in modo abbastanza marginale, ossia quella relativa agli enigmi, i quali non raggiungono certo livelli di inventiva o complessità avvisabili in un’avventura grafica, ma che si dimostrano comunque un gradevole diversivo tra un’arrampicata e l’altra.
Sul comparto grafico risulta difficile aggiungere cose che non siano state ampiamente trattate altrove, e in modo più specifico, che ormai l’avrà recensito anche Donna Moderna. Aggettivi banali come “sbalorditivo” e “maestoso” trovano comunque perfettamente posto nel contesto dell’ultimo lavoro dei Naughty Dog, che ancora una volta alzano il livello tecnico su console, andando ad annichilire i più scettici.
Uncharted 4 non è un open world, non tende quindi a mostrare muscoli dal punto di vista espansivo, ma ammalia con una cura del dettaglio maniacale sia nei modelli dei personaggi (semplicemente pazzeschi) che negli ambienti. Dalla splendida costiera amalfitana allo sconfinato Madagascar, passando per le fredde grotte della Scozia, ogni luogo di Uncharted 4 ha le sue peculiarità, il suo clima, i suoi bellissimi panorami, conferendo loro un aspetto unico e pulsante, suggestivo e irripetibile, da far venire subito voglia di rivisitarlo a fondo. Il tutto aggraziato da effetti di illuminazione globale di ultima generazione, negli esterni come negli interni, padronanza assoluta di elementi come acqua, vento, fumo di esplosioni, polvere sugli scaffali (!) e blur utilizzato nel modo giusto.
Rare sbavature, come può essere del dithering su alcune ombre, o la scelta di rimanere ancorati ai 30 frame al secondo (il multiplayer invece è a 60) non inficiano quella che è una produzione monumentale, che crea un solco tra sé e quanto visto in precedenza, con l’auspicio che altri prendano a riferimento l’ultima fatica dei Naughty Dog. Budget permettendo chiaramente, citando un altro first party come Horizon: Zero Dawn che potrebbe settare nuovi standard su PS4, ma i Guerrilla Games non si sono in passato dimostrati altrettanto affidabili quanto i cagnacci californiani, che assimilano e dettano come pochi altri.
Decisivo anche il sonoro, nonostante il compositore cambiato (ma la main thene è al suo posto); gli effetti audio sono ancora più realistici, per esempio una granata che vi esplode a pochi metri la sentirete eccome, rispetto ai vecchi Uncharted.
Ottimo anche il doppiaggio italiano, che si piazza al passo di quello originale come qualità recitativa migliorando ulteriormente labiale e mixaggio, variabile in base alla distanza tra i personaggi (o l’ambiente, per esempio l’eco di una grotta) ma che al contempo evita quei piccoli problemi che affliggevano il doppiaggio di The Last of Us, in cui bastava dare di spalle a Ellie per non capire quasi una mazza di quello che diceva.
Il multiplayer è stato provato prima nella beta di qualche mese fa e ora in questa versione definitiva, dimostrandosi a conti fatti nulla di rivoluzionario ma sufficientemente divertente, seppur ancora avaro in contenuti. Scelta comunque condivisibile, quella di occuparsi innanzitutto di confezionare un prodotto single-player all’altezza in tempo per la sua uscita, per poi aggiungere contenuti per il multiplayer con il passare del tempo, e gratuitamente.
Pro
- Tecnicamente sbalorditivo
- Livello recitativo fuori parametro
- Storia avvincente
- Uncharted al moltiplicatore, in vastità e varietà
Contro
- Multiplayer in lavori in corso
- Ritmo non sempre al top
Mi permetto di esprimere il mio parere su un paio di punti:
Metal Gear Solid 4 è un signor video gioco, non credo che si possa dire che Kojima abbia fallito
nel chiudere la saga di Solid Snake.
Certo, la critica è sempre la stessa, in MGS4 si gioca "poco" e i filmati sono lunghissimi ma credo che sia sotto gli occhi di tutti la diversità di spessore sul lato della trama.
La trama di Uncharted 4 è una trama da nulla raccontata alla grandissima, quella di Metal Gear è una trama grandissima raccontata alla Kojima.
Concordo al 100% nel definire Uncharted 4 più bilanciato, ma la natura dei due titoli è ben diversa,
forse il paragone non è dei più felici...
Qui capisco che si scende sui gusti personali ma ritengo il doppiaggio originale davvero inarrivabile.
Il doppiaggio italiano è più che dignitoso, alcuni doppiatori sono davvero in gran spolvero (mi ha stupito quella di Nadine) ma il doppiaggio inglese è da brividi, provare per credere.
Personalmente credo che Uncharted 4 sia un videogioco magnifico ma che soffra un po' troppo di quella sua impostazione cinematografica che ne è anche la forza principale.
Alcuno sequenze sono così immersive ecoinvolgenti proprio perchè pesantemente scriptate ed è questo, a mio avviso, il limite più grosso delle produzioni Naughty Dog.
A volte si ha la sensazione di come "il gioco si giochi da solo", e che il tutto sia veramente troppo guidato dalla mano invisibile degli sviluppatori.
Mgari la cosa non si nota ad una prima partita dato il convolgimento che il titolo riesce a creare ma a mio avviso risulta evidente durante le run successive.
In poche parole il coinvolgimento si paga con la libertà d'azione.
Detto questo ho apprezzato molto il finale di questo brand (speriamo sia un finale definitivo e che non si inventino un qualche spin-off facendosi tentare da guadagni facili ma in questo ho fiducia nei ragazzi di ND), un gioco superlativo sotto ogni comparto, sicuramente una killer application per casa Sony ed un gioco da giocare almeno una volta per ogni possessore di PS4.
Ed ora siamo pronti per The Last Of Us 2
Che "alla Kojima" si traduce in mille forzature per far quadrare tutte le scemenze precedenti, tutte liquidabili con bel "eh, le nanomacchine". I poteri di Vamp? Nanomacchine. La cagarella di Johnny? Nanomacchine. Psycho Mantis? Nanomacchine anche quelle, probabilmente. Nulla da dire sul lato emotivo (il confronto verteva unicamente su quello infatti, tra Uncharted e MGS intercorre anche più o meno lo stesso tempo dal primo al quarto capitolo, 9-10 anni) e sul finale, ma trama "grandissima"? mah.
Che poi siano 2 giochi di natura differente è palese, ma il problema di Guns of the Patriots è che cade proprio su quella, nel suo mare di contraddizioni. Crei uno stealth che dovrebbe incitare un approccio del tutto furtivo e l'arte dell'arrangiarsi, ma ci infili 80 armi potenziabili e un comodo negozio virtuale sempre a portata di mano. Paventi una qualità cinematografica, ma non fai che infarcire un videogioco di interminabili filmati FMV che riempiono un blu-ray doppio strato, quando fu proprio il primo MGS ad introdurre cut-scene con grafica di gioco, le quali evitavano il netto "stacco" tra giocato e parlato che invece affligge il quarto capitolo.
Il primo MGS, codec a parte, era narrativamente fluido come un Uncharted, nel 1998. Il 4 un bel MGS? Sicuro. Un grande videogioco? Per me assolutamente no.
Uncharted mantiente al contrario una certa coesione, che pur con talune sequenze scriptate (indubbie), ti dà almeno la sensazione di viverla l'avventura, pur da un punto di vista cinematografico. Alla fine è una questione di porsi dei precisi obiettivi, i suoi Uncharted evidentemente li raggiunge, tra cui non c'è quello della libertà di un The Witcher, mentre c'è chi in fase di marketing millanta i mille modi per superare una missione, quando poi pad alla mano con una Mk22 ai tranquillanti acquistabili chiamando Debrin da dentro un barile risolvi tutti i problemi.
Ti ringrazio comunque per il bel commento.
Forse sono stato frainteso.
Per "trama grandissima" non intendevo che la trama di MGS4 sia oggettivamente perfetta (qui si scende di nuovo nel soggettivo e nei gusti personali) ma che abbia una costruzione ed una organicità a cui Uncharted non si sogna neanche di puntare (e giustamente direi, visto che sono due titoli completamente diversi).
Qui ammetto di non seguirti.
A parte il fatto che, personalmente, ritengo che anche Metal Gear abbia una qualità cinematografica non indifferente (chiaramente diversa da quella du Uncharted) ma le cut scene di cui parli (per altro tutte renderizzate in tempo reale) sono presenti dal primo MGS su PlayStation.
Questo "netto stacco" tra giocato e parlato c'è sempre stato nella saga di Kojima e, sempre personalmente, preferisco 40 minuti di filmati a 40 minuti di conversazioni statiche di codec ma ancora,
sono gusti personali.
Potrei parlare per ore dell' argomento ma, oltre a ritenerla una discussione un po' sterile, vorrei evitare di andare troppo OT.
Permettimi comunque di dire che capisco il tuo punto di vista, solo non vedo tutto questo fallimento di Kojima in MGS4, sinceramente ho trovato molto più deludente il quinto capitolo.
Concordo con te nell' affermare che Uncharted risulta essere un gioco assolutamente completo,
molto bilanciato su tutti i comparti, sicuramente una degnissima conclusione della saga ed una eccezionale prova di capacità tecniche da parte di Naughty Dog.
Ti faccio una domanda visto che sembri conoscere bene la saga di Nathan Drake:
non ti sembra che in questo ultimo capitolo la curva delle difficoltà sia stata un po' limata verso il basso?
Parlo soprattutto della difficoltà "Distruttivo", i precedenti capitoli mi erano sembrati molto più cattivelli,
questo mi sta sembrando parecchio più facilotto.
Figurati per il commento, è sempre un piacere discutere con altri appassionati di videogame, specialmente se non la pensano come me
Riguardo alla difficoltà, non ho ancora provato il Distruttivo, come al solito l'ho iniziato a Difficile per godermi la storia, successivamente farò le altre difficoltà per prendere i relativi trofei. Comunque sì, ho notato un abbassamento della difficoltà, dovuto a diversi fattori: 1) la maggior ampiezza delle aree, che permettono di fuggire con più facilità e garantiscono più coperture. Non a caso la sparatoria che più mi ha dato problemi è quella collocata all'interno della villa di Avery, al chiuso, perché i nemici ti circondano e c'è meno libertà. Mentre quelle ambientate all'aperto raramente mi hanno dato grattacapi. 2) Una volta scoperto puoi ri-nasconderti, e questa è una novità per la saga, nei vecchi una volta che partiva la sparatoria non c'erano scappatoie. Va detto comunque che nelle situazioni critiche fai prima a ricaricare il checkpoint piuttosto che tentare un'improbabile fuga 3) La stabilità della mira è più precisa, questa cosa l'ho notata già nella Nathan Drake Collection. Parte della difficoltà dei primi Uncharted era dovuta a controlli non proprio precisissimi. 4) Non so se è stata una mia impressione, ma ho notato meno nemici corazzati, di quelli che per buttarli giù non bastava una granata in faccia. Ci sono, ma non nella stessa quantità del 2 (quelli con il GAU!) e mi sono sembrati meno coriacei.
C'è anche il fattore abilità del giocatore da prendere in considerazione, il primo Uncharted a distruttivo mi fece lanciare i bestemmioni, poi da lì è stata una discesa. Già il 3 mi è parso molto semplice.
Penso comunque che ad oggi attuino un ragionamento del tipo "se uno vuole la sfida va nel multiplayer contro altri umani e via", lasciando al singolo una maggior accessibilità.
Mi dispiacerà molto dire addio al buon Nath...
Uncharted è una saga che mi sono perso perchè...boh, fra un'offerta allettante di qui e un titolo che mi interessava poco di più di là, alla fine ho finito per giocare solo il primo capitolo. Presto o tardi recupererò questo (Last of Us, mancato per lo stesso motivo) e la collection, non commetterò tre volte lo stesso errore!
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