Sono mazzate caciarone e ben poco eleganti, quelle di Dragon’s Crown, ma al netto dei limiti intrinsechi del genere non annoiano e si inseriscono in un insieme sonoro e visivo atto a descrivere un’epoca di mondi perduti, dalla Grecia alla Mesopotamia. Un pretesto per una elegia della memoria da parte di chi sa già che ci guarderemo indietro, verso un 1993 giapponese rimasto nel nostro immaginario, che è rigorosamente a due dimensioni.
Quindi i cliché da manuale D&D, il guerriero, il nano, l’elfa, il mago, la amazzone e la strega a dipingere una tradizione fantasy portata all’eccesso da un George Kamitani che inseguiva questo progetto da oltre un decennio (doveva essere l’erede di Princess Crown previsto su Dreamcast); il game designer nipponico omaggia la Capcom di The King of Dragons e soprattutto di Dungeons & Dragons: Tower of Doom, laddove iniziò la sua carriera al fianco di maestri quali Yoshiki Okamoto e Akira “Akiman” Yasuda.
Kamitani infonde in Dragon’s Crown il suo più irrefrenabile barocchismo, abbandonando la poetica del suo (quello sì) capolavoro Odin Sphere e l’eleganza di Oboro Muramasa, infarcendo fino all’ossesso di strizzate artistiche e citazioni più o meno velate quasi a voler nascondere, di fatto, una certa pochezza delle meccaniche di gioco che da sempre contraddistingue il genere dei beat’em up, che qui si tinge furbamente di “ruolo”.
Narrazione di puro pretesto, un paese nel caos (Hydeland), una reliquia magica conosciuta come Corona del Drago, un Re che la vuole a tutti i costi e sei guerrieri prescelti che partono per recuperarla, il resto viene da sé e tutto sommato va bene così. Per chi nel 2013 era da un’altra parte o stava già aspettando la sua PlayStation 4 con Knack al lancio, Dragon’s Crown mescola il genere dei beat 'em up a scorrimento laterale con meccaniche da RPG; ecco quindi la scelta di un eroe fra le sei classi disponibili, sostanzialmente differenti per approccio alla rissa ma che trasmettono immediata familiarità per il loro essere archetipi ambulanti. Per il neofita è consigliabile partire con uno dei potenti tre guerrieri corpo a corpo, prima di provare a destreggiarsi con le frecce della gracile elfa e le magie dei due esperti incantatori (generalmente oculata e specializzata nel resuscitare morti la strega, più devastante e con attacchi ad ampio raggio il mago), ma in ogni caso la scelta dell’eroe non è definitiva e sarà comunque possibile crearne di nuovi a partita in corso.
L’avventura principale si basa sul ritrovamento di nove talismani, necessari all’abbattimento del drago finale, e dato che tale compito non si definisce propriamente una tranquilla scampagnata nei boschi, saremo chiamati a creare un party di altri tre esseri, che possono essere impersonati da altri giocatori, online come in locale, oppure manovrati da una pronta CPU.
Ognuno dei luoghi che andremo a visitare si compone a sua volta due percorsi, definiti come A e B, alla fine dei quali affronteremo un potente boss per ricevere varie ricompense, e se saremo fortunati anche uno dei nove talismani.
Oltre ad attacchi fisici e magie, il quartetto di eroi potrà usufruire di alcuni elementi di supporto che rimandano inevitabilmente ai classici intramontabili del passato, quali bestie da cavalcare (Golden Axe), armi da raccogliere (Final Fight), occasionalmente torce, bombe e cannoni, mentre Dragon’s Crown di suo implementa le rune, che permettono di evocare specifici incantesimi in determinati luoghi, a patto di ricordare le formule composte da tre simboli. Questa meccanica, che prevede l’utilizzo delle rune in nostro possesso in aggiunta ai simboli posti su pareti o colonne per comporre appunto la suddetta formula, è palesemente figlia dell’origine portatile del gioco e del touch screen di PlayStation Vita, ma funziona bene anche tramite l’utilizzo del gamepad ed è un’idea concettualmente azzeccata, dato che l’eventuale presenza di simboli ci spinge a scrutare gli splendidi fondali. Si potrà infine ricorrere all’utilizzo di oggetti curativi o di potenziamento, previa scelta di selezionati tasti rapidi sulla croce direzionale, mentre il ladruncolo al nostro seguito Rannie si occuperà di aprire forzieri, forzare porte e arraffare diligentemente oggetti e monete che abbiamo lasciato sul nostro cammino.
In città riordineremo le nostre forze alla Locanda del Drago Guardiano, punto nevralgico per la formazione del party, mentre appena di fianco si può trovare il Tempio di Canaan, dove è possibile pregare per ricevere in cambio alcuni benefici, e resuscitare guerrieri defunti servendosi delle spoglie trovate nei vari dungeon. Ci uniremo quasi immediatamente alla Gilda degli Avventurieri, tramite la quale si potranno accettare le Quest secondarie, che spaziano dall’uccisione di un certo numero di nemici, al compiere determinati compiti che solitamente sfruttano le poche diramazioni presenti nei livelli. Una volta portata a compimento una Quest della gilda si riceveranno soldi, esperienza extra e soprattutto un’illustrazione contenente anche un piccolo racconto su una personalità o un evento del mondo di Dragon’s Crown, dacché se è pur vero che la trama portante è il classico “uccidi il Drago e prendi il tesoro”, il titolo Vanillaware non disdegna una genuina cura descrittiva di luoghi e storie, attraverso la voce narrante ma anche, appunto, in via testuale con queste splendide illustrazioni che fanno molto Dragon Magazine dei tempi che furono.
Dragon’s Crown non si conclude con la raccolta dei talismani e la sconfitta dell’Ancient Dragon, che anzi, pare quasi un tutorial; completata una volta l’Avventura standard si sblocca una difficoltà maggiore e nuove aree, come il Colosseo e il Labirinto del Caos, un generatore di Dungeon di ben 99 piani, che si tramuta poi, alla difficoltà più alta, nella letteralmente infinita Torre dei Miraggi (si narra di alcuni folli avventurieri arrivati a 50,000 piani), la quale porta il level cap del personaggio a 255. In definitiva, nonostante la struttura di gioco semplicistica hack n slash accennata all’inizio, Dragon’s Crown offre comunque un certo grado di divertimento, specie se in compagnia, in ossequio ad una componente visuale che sarà pure sfoggio culturale fine a sé stesso, forzato e un po’ snob nel suo mescolare Capcom e Disney, Rinascimento ed epica greca, ma dal quale è difficile non rimanere travolti dalla sua difformità stilistica di fondo e dal suo gusto barocco.
L’edizione Dragon’s Crown Pro è completamente compatibile con le versioni PlayStation 3 e PlayStation Vita (che nel frattempo hanno ricevuto una patch apposita), il che significa che si può giocare online con i giocatori delle tre piattaforme, e trasferire il proprio salvataggio tramite il server dedicato, senza così perdere i propri precedenti progressi. Per il resto Dragon’s Crown Pro si porta a casa il suo lavoro di rimasterizzazione senza compiere chissà quali salti mortali, tra le novità di questa edizione si annovera una risoluzione in 4K per i modelli PS4 Pro a rendere onore alla bellezza delle immagini e delle animazioni, la colonna sonora del fedele Hitoshi Sakimoto totalmente orchestrata (con le opzioni si può comunque selezionare la versione originale), l’inclusione del DLC che permette di cambiare la voce narrante standard con quella dei personaggi, la gradita traduzione testuale in più lingue e la presenza dell’audio giapponese. Un po' poco, forse, per un team che si fa ancora attendere il suo primo gioco nativo PS4, ossia quel 13 Sentinels Aegis Rim che di certo non dimentichiamo.
Pro
- Gioco profondo e splendido da vedere
- Sei personaggi ben diversificati
- Un'ottima occasione per i nuovi per recuperarlo
- Cross-save e Cross-Play con le altre versioni
Contro
- Le novità dell'edizione Pro potrebbero non giustificare un secondo acquisto
E quella PS Vita.
Peccato, speravo facessero anche un bel porting pc a questo punto.
Devi eseguire l'accesso per lasciare un commento.