La diciannovenne Yuri Kozukata è in grado di vedere "l'ombra" degli oggetti che tocca e può riportare le persone dal "mondo delle ombre". Tale dono l’ha resa schiva nei confronti delle altre persone, ma lo usa anche per aiutare coloro che cercano oggetti smarriti o persone scomparse, tramite un negozio di antiquariato di proprietà della sua amica Hisoka Kurosawa, che qualche anno fa l'ha salvata da un tentativo di suicidio.
Un giorno, una ragazza di nome Fuyuhi Himino entra nel negozio per chiedere a Hisoka Kurosawa di trovare una sua amica, Haruka Momose, scomparsa nella zona del Monte Hikami. In quel momento però Hisoka è assente, Yuri si propone quindi di aiutarla. Il Monte Hikami è tristemente noto per essere la meta di aspiranti suicidi, che si recano nella foresta durante “l'ora delle streghe”, quando il confine tra il mondo dei vivi e il mondo nascosto delle ombre si fa labile. Si dice che coloro che terminano la propria vita in questo luogo moriranno di una morte pulita e "appropriata", senza rischiare di rimanere intrappolati come fantasmi tra i due mondi.
L’ideazione del quinto Project Zero prende corpo immediatamente dopo Zero Shinku no Chou, il remake del secondo capitolo, uscito nel 2012 e sviluppato appositamente per Nintendo Wii. Il producer e co-creatore della serie Keisuke Kikuchi vede nel particolare Gamepad del Wii U una periferica perfetta per simulare la Camera Obscura; il team bussa quindi di nuovo alle porte della casa di Mario, che di certo non si fa pregare dato il suo bisogno di giochi per la sua nuova console, riconfermando quella collaborazione tra Koei Tecmo e Nintendo SPD che qualche anno addietro aveva dato vita a Tsukihami no Kamen (La Maschera dell’Eclissi Lunare), rimasto però colpevolmente appannaggio dell’utenza giapponese.
Zero: Nuregarasu no miko esce nel 2014 quando sul Wii U si era da qualche tempo affibbiata l’etichetta dell’insuccesso, il più grave della storia delle console home di Nintendo e senza alcun segnale di ripresa, alla casa madre non rimaneva altro che staccare la spina e pensare al prossimo sistema, i fan della serie rimasero quindi con il fiato sospeso e il concreto timore che anche questo Project Zero non avrebbe varcato i confini dell’arcipelago nipponico. Fortunatamente, dopo mesi di silenzio, arriva l’annuncio per la pubblicazione occidentale con il titolo Project Zero: Maiden of Black Water, che uscirà abbastanza in sordina (solo digitale negli USA, digitale con edizione retail ultra limitata in Europa) nell’autunno del 2015 rendendo felici quei pochi appassionati di horror che avevano in casa il pataccone di Nintendo; quest’ultima iterazione della serie valeva forse l’acquisto di un Wii U? Assolutamente no, ma di sicuro non meritava neanche di condividere l’oblio di una console fallimentare.
Makoto Shibata, da sempre affascinato dall’argomento yūrei (i fantasmi giapponesi), crede che questi possano apparire con una maggior frequenza durante i giorni di pioggia; più in generale ritiene che l’acqua e l’umidità siano elementi strettamente legati al soprannaturale, mentre in un clima secco come quello di Los Angeles, durante un suo viaggio in California, il director ha avvertito la sensazione che non si sarebbero mai potuti manifestare eventi legati ai fantasmi. L’acqua diventa pertanto il punto focale del nuovo Project Zero e di conseguenza è stata riposta una notevole cura per la sua realizzazione, ma il suo ruolo non si limita ad un fattore estetico e di atmosfera, bensì diviene anche una meccanica di gioco denominata Weater Meter, ossia un misuratore di umidità posto in basso a destra dello schermo. Più il personaggio si bagna, piùsi intravede attraverso i vestiti forte sarà il suo potere spirituale, riflettendosi in un maggior danno con la Camera Obscura. Questo però non vuol dire che l’acqua sia sempre nostra alleata, non sarebbe un horror altrimenti, a volte saremo costretti ad affrontare i nemici con l’acqua che ci arriva fin sopra le ginocchia, rallentandoci non poco i movimenti, inoltre il grado di umidità ha anche l’effetto di far diminuire la difesa dagli attacchi dei fantasmi. Alcuni di essi, affetti dallo yomi nure (“terra dei morti” e “bagnata”), possono trasferire questo stato al giocatore, che si traduce nei sintomi di una difesa ridotta, una vista annebbiata e una graduale perdita della salute; tale condizione si può curare con lo speciale oggetto Lanterna Purificatrice.
Project Zero: Maiden of the Black Water, per la sua principale ambientazione, prende spunto dall’Osorezan della prefettura di Aomori per alcune caratteristiche affini sia geografiche (il lago vulcanico) che folkloristiche (da secoli è considerata l’entrata alla terra dei morti), ma anche ovviamente dalla celebre foresta di Aokigahara, il “mare di alberi” ai piedi del monte Fuji, nota per essere la meta di molti aspiranti suicidi, già ispiratrice di numerosi romanzi e film, al cui appello mancava solo la serie di videogiochi che più di ogni altra scava nel folklore e nelle leggende del J Horror. Location a parte viene da sé che i maggiori meriti di questo quinto episodio siano da attribuire a quanto già eretto dai suoi illustri predecessori, una serie capace di incutere e trasmettere paura senza ostentarla attraverso facili espedienti spesso abusati nei survival horror, quali la violenza e il gore, bensì insinuandola lentamente nel giocatore adottando un personale approccio dell’invisibile, ma anche tramite il rapporto stretto con i fantasmi, che dovranno essere inquadrati per essere sconfitti. È questo che contraddistingue Zero rispetto ad altre opere affini come Clock Tower, Silent Hill e Siren, che richiedono per buona parte del tempo di fuggire dai propri nemici, nell’horror di Koei Tecmo la fase di esplorazione, in cui si accumula una palpabile inquietudine creando un clima di crescente tensione, scaturisce in un confronto diretto con tale minaccia, il tutto coadiuvato anche dall’attenzione al cruciale apparato scenografico e da un sound design sempre ricercato.
A Maiden of the Black Water dunque non manca nulla per essere un buon Project Zero, ma non si può neanche dire che provi a superare i precedenti. La presenza di tre personaggi giocabili, Yuri Kozukata, Miu Hinasaki e Ren Hojo, ci permette di vivere la vicenda da diversi punti di vista, ed è interessante scoprire il retroscena di ognuno e le motivazioni che li muovono, tuttavia il numero di protagonisti non si traduce in un’esperienza altrettanto variegata, specie per quel che concerne le ambientazioni. Intendiamoci, molti dei più celebri survival horror del passato si sono contraddistinti da un certo backtracking, facendone quasi un tratto distintivo, ma in questo caso non si tratta di tornare sui propri passi per aprire una porta precedentemente a noi preclusa, il backtracking presente nel quinto Project Zero è più fastidioso poiché richiede semplicemente di ripercorrere gli stessi sentieri, nello stesso modo e nella stessa direzione, ma con un personaggio differente; se la prima volta il Tempio delle Bambole appare affascinante e misterioso, la seconda e la terza lo è decisamente meno, dato che ne conosciamo già ogni angolo.
Di conseguenza il gioco accusa una certa stanchezza già al giro di boa dimostrandosi per quello che è, un horror davvero lineare composto sentieri disseminati di documenti e medicine (è consigliato di iniziarlo ad hard), su cui i soliti finali multipli provano a mettere una pezza. Shibata e Kikuchi si giustificano affermando che nello sviluppare questo Project Zero hanno pensato anche ai giocatori nuovi, e non solo ai navigati, eppure su PS2 “i nuovi” di allora non ebbero problemi a giocare survival horror dalla costruzione scenica ben più articolata di così, verrebbe da chiedersi se questo approccio alla semplificazione dia effettivamente i suoi frutti in termini di vendite, o se ci sia stato a suo tempo lo zampino di Nintendo. Certo è che il fan navigato non troverà particolare stimoli nei (forse anche fin troppo frequenti) scontri a colpi di flash di Project Zero 5, ma in compenso potrà godersi una storia che offre interessanti spunti e collegamenti con i precedenti capitoli, in particolare per quanto riguarda il personaggio di Miu (figlia della Miku del primo episodio), aggiungendo poi un altro tassello all’incredibile vita dello studioso Kunihiko Asou, creatore della Camera Obscura.
Project Zero: Maiden of the Black Water viene riesumato nel 2021 in occasione del ventesimo anniversario della serie, con una versione rimasterizzata per tutti i sistemi di gioco, da Switch a PS5 passando per le Xbox. Venduta quantomeno ad un prezzo abbastanza onesto, ma disponibile in queste latitudini solo in digitale (e non tradotto in italiano), questa edizione opera un processo di restauro decisamente essenziale, aumentando la risoluzione e mettendo mano giusto sui comunque sempre curati modelli dei personaggi, mentre non si segnalano aggiunte che sfruttino il Dualsense (tipo per simulare il contatto dei fantasmi) o altre tecnologie. L'obiettivo della telecamera, qui ruotabile dacché residuo del vecchio paddone del Wii U, si ruota con il giroscopio dei controller, se ce l'hanno, o in alternativa con i tasti L1 e R1, il risultato diciamo è accettabile. Nuovi costumi sostituiscono degnamente quelli a marchio Nintendo presenti in origine, qui rimossi, ma l’aggiunta più rilevante è rappresentata dalla nuova modalità foto, che permette di immortalare i momenti di gioco, aggiungendo filtri, effetti di luce con tanto di possibilità di posizionare personaggi o fantasmi.
Un giorno, una ragazza di nome Fuyuhi Himino entra nel negozio per chiedere a Hisoka Kurosawa di trovare una sua amica, Haruka Momose, scomparsa nella zona del Monte Hikami. In quel momento però Hisoka è assente, Yuri si propone quindi di aiutarla. Il Monte Hikami è tristemente noto per essere la meta di aspiranti suicidi, che si recano nella foresta durante “l'ora delle streghe”, quando il confine tra il mondo dei vivi e il mondo nascosto delle ombre si fa labile. Si dice che coloro che terminano la propria vita in questo luogo moriranno di una morte pulita e "appropriata", senza rischiare di rimanere intrappolati come fantasmi tra i due mondi.
L’ideazione del quinto Project Zero prende corpo immediatamente dopo Zero Shinku no Chou, il remake del secondo capitolo, uscito nel 2012 e sviluppato appositamente per Nintendo Wii. Il producer e co-creatore della serie Keisuke Kikuchi vede nel particolare Gamepad del Wii U una periferica perfetta per simulare la Camera Obscura; il team bussa quindi di nuovo alle porte della casa di Mario, che di certo non si fa pregare dato il suo bisogno di giochi per la sua nuova console, riconfermando quella collaborazione tra Koei Tecmo e Nintendo SPD che qualche anno addietro aveva dato vita a Tsukihami no Kamen (La Maschera dell’Eclissi Lunare), rimasto però colpevolmente appannaggio dell’utenza giapponese.
Zero: Nuregarasu no miko esce nel 2014 quando sul Wii U si era da qualche tempo affibbiata l’etichetta dell’insuccesso, il più grave della storia delle console home di Nintendo e senza alcun segnale di ripresa, alla casa madre non rimaneva altro che staccare la spina e pensare al prossimo sistema, i fan della serie rimasero quindi con il fiato sospeso e il concreto timore che anche questo Project Zero non avrebbe varcato i confini dell’arcipelago nipponico. Fortunatamente, dopo mesi di silenzio, arriva l’annuncio per la pubblicazione occidentale con il titolo Project Zero: Maiden of Black Water, che uscirà abbastanza in sordina (solo digitale negli USA, digitale con edizione retail ultra limitata in Europa) nell’autunno del 2015 rendendo felici quei pochi appassionati di horror che avevano in casa il pataccone di Nintendo; quest’ultima iterazione della serie valeva forse l’acquisto di un Wii U? Assolutamente no, ma di sicuro non meritava neanche di condividere l’oblio di una console fallimentare.
Makoto Shibata, da sempre affascinato dall’argomento yūrei (i fantasmi giapponesi), crede che questi possano apparire con una maggior frequenza durante i giorni di pioggia; più in generale ritiene che l’acqua e l’umidità siano elementi strettamente legati al soprannaturale, mentre in un clima secco come quello di Los Angeles, durante un suo viaggio in California, il director ha avvertito la sensazione che non si sarebbero mai potuti manifestare eventi legati ai fantasmi. L’acqua diventa pertanto il punto focale del nuovo Project Zero e di conseguenza è stata riposta una notevole cura per la sua realizzazione, ma il suo ruolo non si limita ad un fattore estetico e di atmosfera, bensì diviene anche una meccanica di gioco denominata Weater Meter, ossia un misuratore di umidità posto in basso a destra dello schermo. Più il personaggio si bagna, più
Project Zero: Maiden of the Black Water, per la sua principale ambientazione, prende spunto dall’Osorezan della prefettura di Aomori per alcune caratteristiche affini sia geografiche (il lago vulcanico) che folkloristiche (da secoli è considerata l’entrata alla terra dei morti), ma anche ovviamente dalla celebre foresta di Aokigahara, il “mare di alberi” ai piedi del monte Fuji, nota per essere la meta di molti aspiranti suicidi, già ispiratrice di numerosi romanzi e film, al cui appello mancava solo la serie di videogiochi che più di ogni altra scava nel folklore e nelle leggende del J Horror. Location a parte viene da sé che i maggiori meriti di questo quinto episodio siano da attribuire a quanto già eretto dai suoi illustri predecessori, una serie capace di incutere e trasmettere paura senza ostentarla attraverso facili espedienti spesso abusati nei survival horror, quali la violenza e il gore, bensì insinuandola lentamente nel giocatore adottando un personale approccio dell’invisibile, ma anche tramite il rapporto stretto con i fantasmi, che dovranno essere inquadrati per essere sconfitti. È questo che contraddistingue Zero rispetto ad altre opere affini come Clock Tower, Silent Hill e Siren, che richiedono per buona parte del tempo di fuggire dai propri nemici, nell’horror di Koei Tecmo la fase di esplorazione, in cui si accumula una palpabile inquietudine creando un clima di crescente tensione, scaturisce in un confronto diretto con tale minaccia, il tutto coadiuvato anche dall’attenzione al cruciale apparato scenografico e da un sound design sempre ricercato.
A Maiden of the Black Water dunque non manca nulla per essere un buon Project Zero, ma non si può neanche dire che provi a superare i precedenti. La presenza di tre personaggi giocabili, Yuri Kozukata, Miu Hinasaki e Ren Hojo, ci permette di vivere la vicenda da diversi punti di vista, ed è interessante scoprire il retroscena di ognuno e le motivazioni che li muovono, tuttavia il numero di protagonisti non si traduce in un’esperienza altrettanto variegata, specie per quel che concerne le ambientazioni. Intendiamoci, molti dei più celebri survival horror del passato si sono contraddistinti da un certo backtracking, facendone quasi un tratto distintivo, ma in questo caso non si tratta di tornare sui propri passi per aprire una porta precedentemente a noi preclusa, il backtracking presente nel quinto Project Zero è più fastidioso poiché richiede semplicemente di ripercorrere gli stessi sentieri, nello stesso modo e nella stessa direzione, ma con un personaggio differente; se la prima volta il Tempio delle Bambole appare affascinante e misterioso, la seconda e la terza lo è decisamente meno, dato che ne conosciamo già ogni angolo.
Di conseguenza il gioco accusa una certa stanchezza già al giro di boa dimostrandosi per quello che è, un horror davvero lineare composto sentieri disseminati di documenti e medicine (è consigliato di iniziarlo ad hard), su cui i soliti finali multipli provano a mettere una pezza. Shibata e Kikuchi si giustificano affermando che nello sviluppare questo Project Zero hanno pensato anche ai giocatori nuovi, e non solo ai navigati, eppure su PS2 “i nuovi” di allora non ebbero problemi a giocare survival horror dalla costruzione scenica ben più articolata di così, verrebbe da chiedersi se questo approccio alla semplificazione dia effettivamente i suoi frutti in termini di vendite, o se ci sia stato a suo tempo lo zampino di Nintendo. Certo è che il fan navigato non troverà particolare stimoli nei (forse anche fin troppo frequenti) scontri a colpi di flash di Project Zero 5, ma in compenso potrà godersi una storia che offre interessanti spunti e collegamenti con i precedenti capitoli, in particolare per quanto riguarda il personaggio di Miu (figlia della Miku del primo episodio), aggiungendo poi un altro tassello all’incredibile vita dello studioso Kunihiko Asou, creatore della Camera Obscura.
Project Zero: Maiden of the Black Water viene riesumato nel 2021 in occasione del ventesimo anniversario della serie, con una versione rimasterizzata per tutti i sistemi di gioco, da Switch a PS5 passando per le Xbox. Venduta quantomeno ad un prezzo abbastanza onesto, ma disponibile in queste latitudini solo in digitale (e non tradotto in italiano), questa edizione opera un processo di restauro decisamente essenziale, aumentando la risoluzione e mettendo mano giusto sui comunque sempre curati modelli dei personaggi, mentre non si segnalano aggiunte che sfruttino il Dualsense (tipo per simulare il contatto dei fantasmi) o altre tecnologie. L'obiettivo della telecamera, qui ruotabile dacché residuo del vecchio paddone del Wii U, si ruota con il giroscopio dei controller, se ce l'hanno, o in alternativa con i tasti L1 e R1, il risultato diciamo è accettabile. Nuovi costumi sostituiscono degnamente quelli a marchio Nintendo presenti in origine, qui rimossi, ma l’aggiunta più rilevante è rappresentata dalla nuova modalità foto, che permette di immortalare i momenti di gioco, aggiungendo filtri, effetti di luce con tanto di possibilità di posizionare personaggi o fantasmi.
Tornato multipiattaforma come giusto che sia, il quinto Project Zero si conferma nuovamente come un prodotto non per tutti, nonostante le intenzioni degli autori fossero altre; si apprezza la ricercatezza formale della messa in scena, la tenuta della tensione e la solita dedizione riposta nel suono, ma la ripetizione degli ambienti oltre il livello di guardia e la poca profondità nella mappatura degli stessi impediscono all’horror Koei Tecmo di superare i predecessori. Maiden of the Black Water non scardina gli schemi del filone yūrei ma anzi snoda in maniera convenzionale una vicenda comunque sempre affascinante, tra rituali falliti e templi infestati, e dinnanzi ai suddetti difetti strutturali la rimasterizzazione non può fare molto altro che aggiungere opzioni di photomode ad immortalare fantasmi e magliette bagnate.
Pro
- Atmosfera sempre riuscita
- Storia intrigante
- Belle ragazze
Contro
- Notevole riutilizzo di ambientazioni
Con quale pretesto narrativo siano riusciti ad inserire Ayane come special guest in questa storia è qualcosa che mi tormenta da tempo, devo vedere questa genialità ultraterrena di fan service.
Purtroppo è così, per giocare i classici l'unico modo è procurarsi una PS2 o un emulatore, dopo quelli è uscito solo il remake del 2 per Wii, il 4 addirittura mai arrivato qui.
Nonostante qualche riferimento rimane tuttavia un gioco godibile a se stante.
Io comunque sono del team Kasumi.
(P. Z. + P. Z. 2 - Crimson Butterfly + P. Z. 3 - The tormented)
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