Recensione
The End of Evangelion
10.0/10
È sempre stato risaputo che "The End of Evangelion" e il finale della serie sono due prodotti diversi tra loro, ma sovente si è parlato di due opere chiuse l'una all'altra come da paratie stagne. Tuttavia "The End of Evangelion" e gli episodi 25 e 26 della serie "Neon Genesis Evangelion" sono pur sempre figli dello stesso talento. La narrazione per immagini della vicenda esistenziale umana nella produzione di Anno presuppone due atti, separati tra loro dalla cesura concreta della mancanza di mezzi economici, ma complementari e nati da una stessa idea. L'atto rivolto alla psiche è la prova iniziatica che immette il regista in una nuova fase del suo processo creativo. Ormai maturo e consacrato al successo, Anno inscenerà l'atto definitivo, quello dedicato all'indagine del mondo che si trova all'esterno dell'uomo.
Mettendola in termini spiccioli, ultimare la serie con le paranoie di Shinji non avrebbe soddisfatto quella fetta di pubblico che voleva vedere le mirabolanti gesta dei mecha. Ma Anno non scende a patti con i suoi capricci - almeno non in questo caso - e gioca con quello che secondo le aspettative del suddetto pubblico avrebbe dovuto essere il finale, tramortendolo infine con la distruzione definitiva dei "canoni" che aveva apparentemente ripromesso.
È così che lo spettatore si trova fiondato nell'avverarsi di un apocalisse che ha in sé qualcosa di onirico, nei colori, nelle musiche, nelle atmosfere. A una prima visione "The End of Evangelion" è un flusso emozionale: l'esposizione è sensoriale, cela l'inferenza negli abissi del simbolo e del montaggio. Lo spettatore verrà completamente risucchiato dalla materialità del racconto animato: il raccapriccio del sacrificio carneo compiuto dalla serie degli EVA penetra la coscienza per empatia visiva. L'essere "tutto in uno" arriva all'acme dell'<i>unio mystica</i> sfociando nell' "a-nomia" del suo paradosso, il non-essere.
Al di là dell'entourage simbolico approntato da Anno - non indifferente nella sua stratificazione -, al di là dell'afflato cosmico del quadro narrativo, "The End of Evangelion" ci racconta l'anelito dell'uomo all'eternità, che è anche paura profonda della solitudine. I personaggi della serie ci vengono infine rivelati nella loro vera essenza: delle monadi chiuse in se stesse. L'incomunicabilità tra gli esseri umani, ciò che ne causa la sofferenza, la solitudine, sono ciò che in fondo li unisce.
"Neon Genesis Evangelion" è l'epitome dell'uomo, ne racchiude l'essenza. "The End of Evangelion" narra la sua storia, le sue ambizioni, le sue paure, fino a comprendere in sé l'origine e la fine del tempo in cui egli può vivere.
Tutto è raccontato con l'ausilio di un apparato visivo e musicale avvolgente come un abbraccio materno, di cui è concrezione simbolica una bianca figura alata. Colori caldi e freddi si mescolano per dare vita a squarci di una suggestione unica, i cui protagonisti sono figure titaniche animate da movimenti solenni. Le melodie che accompagnano le immagini se ne staccano, assumono una vita indipendente, separando la mente dalle orecchie di chi guarda.
Anno ha fatto un discorso profondo a colui che esperisce "The End of Evangelion", lo ha interrogato, ha stracciato il velo dell'illusione scenica parlando di essa tramite essa. Il regista ha usato il filtro costituito dallo schermo, bucandolo, perturbando la sfera intima dell'esperienza visiva degli spettatori. "The End of Evangelion" è un titolo all'apparenza elementare, ma nasconde nel suo denso significato letterale l'operazione metalinguistica condotta con maestria dal suo creatore.
Per una larga porzione di pubblico "The End of Evangelion" potrebbe essere il giusto epilogo di un capolavoro dopo la breve parentesi costituita da ciò che era stato ritenuto un finale illusorio. In realtà la questione non è così semplice. "The End of Evangelion" non è altro che la medesima storia raccontata da un'altra prospettiva, con un apparato simbolico, filosofico ed esistenziale potenziato all'estremo. "The End of Evangelion" non è che una stupenda cornice e lo sfondo sterminato su cui si incastona la coppia di episodi finali della serie. Hideaki Anno non ha fatto altro che rimescolare gli elementi stereoscopici di "Neon Genesis Evangelion" ricomponendoli in una nuova configurazione il cui fulcro è la magnificenza visiva.
Mettendola in termini spiccioli, ultimare la serie con le paranoie di Shinji non avrebbe soddisfatto quella fetta di pubblico che voleva vedere le mirabolanti gesta dei mecha. Ma Anno non scende a patti con i suoi capricci - almeno non in questo caso - e gioca con quello che secondo le aspettative del suddetto pubblico avrebbe dovuto essere il finale, tramortendolo infine con la distruzione definitiva dei "canoni" che aveva apparentemente ripromesso.
È così che lo spettatore si trova fiondato nell'avverarsi di un apocalisse che ha in sé qualcosa di onirico, nei colori, nelle musiche, nelle atmosfere. A una prima visione "The End of Evangelion" è un flusso emozionale: l'esposizione è sensoriale, cela l'inferenza negli abissi del simbolo e del montaggio. Lo spettatore verrà completamente risucchiato dalla materialità del racconto animato: il raccapriccio del sacrificio carneo compiuto dalla serie degli EVA penetra la coscienza per empatia visiva. L'essere "tutto in uno" arriva all'acme dell'<i>unio mystica</i> sfociando nell' "a-nomia" del suo paradosso, il non-essere.
Al di là dell'entourage simbolico approntato da Anno - non indifferente nella sua stratificazione -, al di là dell'afflato cosmico del quadro narrativo, "The End of Evangelion" ci racconta l'anelito dell'uomo all'eternità, che è anche paura profonda della solitudine. I personaggi della serie ci vengono infine rivelati nella loro vera essenza: delle monadi chiuse in se stesse. L'incomunicabilità tra gli esseri umani, ciò che ne causa la sofferenza, la solitudine, sono ciò che in fondo li unisce.
"Neon Genesis Evangelion" è l'epitome dell'uomo, ne racchiude l'essenza. "The End of Evangelion" narra la sua storia, le sue ambizioni, le sue paure, fino a comprendere in sé l'origine e la fine del tempo in cui egli può vivere.
Tutto è raccontato con l'ausilio di un apparato visivo e musicale avvolgente come un abbraccio materno, di cui è concrezione simbolica una bianca figura alata. Colori caldi e freddi si mescolano per dare vita a squarci di una suggestione unica, i cui protagonisti sono figure titaniche animate da movimenti solenni. Le melodie che accompagnano le immagini se ne staccano, assumono una vita indipendente, separando la mente dalle orecchie di chi guarda.
Anno ha fatto un discorso profondo a colui che esperisce "The End of Evangelion", lo ha interrogato, ha stracciato il velo dell'illusione scenica parlando di essa tramite essa. Il regista ha usato il filtro costituito dallo schermo, bucandolo, perturbando la sfera intima dell'esperienza visiva degli spettatori. "The End of Evangelion" è un titolo all'apparenza elementare, ma nasconde nel suo denso significato letterale l'operazione metalinguistica condotta con maestria dal suo creatore.
Per una larga porzione di pubblico "The End of Evangelion" potrebbe essere il giusto epilogo di un capolavoro dopo la breve parentesi costituita da ciò che era stato ritenuto un finale illusorio. In realtà la questione non è così semplice. "The End of Evangelion" non è altro che la medesima storia raccontata da un'altra prospettiva, con un apparato simbolico, filosofico ed esistenziale potenziato all'estremo. "The End of Evangelion" non è che una stupenda cornice e lo sfondo sterminato su cui si incastona la coppia di episodi finali della serie. Hideaki Anno non ha fatto altro che rimescolare gli elementi stereoscopici di "Neon Genesis Evangelion" ricomponendoli in una nuova configurazione il cui fulcro è la magnificenza visiva.