Recensione
Roujin Z
5.0/10
L'idea originale di questo film, partorita dalla mente del genio Katsuhiro Otomo, è sicuramente accattivante ed estremamente valida anche al giorno d'oggi. Si parla qui della cura degli anziani e si dibatte il problema dell'affidamento di tale fardello alla mano calda e affettuosa di un essere umano, parente o semplice badante che sia, oppure a quella fredda e insensibile di un computer di ultima generazione che sostituisce l'agire umano in ogni gesto scomodo. Come è logico aspettarsi, tuttavia, tale tematica è presentata tanto semplicemente e apertamente quanto poco approfonditamente e vediamo la fantasia del noto padre di "Akira" soffermarsi molto più curiosamente e piacevolmente sull'evoluzione fisica e psicologica dello Z-001, il computer modernissimo progettato appositamente per la cura agli anziani. La componente robotica è infatti alla base dei lavori più noti del famoso regista. Sfortunatamente per lui, l'anziano protagonista Kijuru Takazawa è stato scelto come cavia per il prototipo del primo Z-001 ma ciò che né lui né le persone che gli stanno vicino sanno è che questo prodotto, sponsorizzato dal Ministero della salute pubblica, nasconde al suo interno un cervello cibernetico all'avanguardia con capacità di autoapprendimento che dovrebbe essere utilizzato a scopo militare. Non voglio rivelare altro di una trama già abbastanza scarna, cercherò quindi di raccontarvi le mie impressioni sull'aspetto tecnico.
Come detto, Katsuhiro Otomo è la mente degli avvenimenti e in parte il realizzatore del mecha design ma la regia appartiene a Hiroyuki Kitakubo, mentre il character design a Hisashi Eguchi. Soprattutto quest'ultimo contributo, unito a quello dei vari animatori, rende vani gli sforzi, seppur lievi rispetto ad opere più grandi, di Otomo. Tutto all'interno di questa visione si muove in maniera oltremodo lenta e a scatti, dandoci la continua sensazione che manchino dei fotogrammi. La conseguenza più grave di questa assenza di fluidità è la resa approssimativa delle varie trasformazioni che lo Z-001 subisce durante la pellicola, mutamenti che pure Otomo aveva dovuto curare con qualche soddisfazione. La definizione dei personaggi poi è alquanto approssimativa, nell'aspetto fisico come nella fisionomia. Non viene sfruttato per niente il tratteggio per dare profondità, viene invece adoperato un chiaro-scuro dato dalla semplice giustapposizione di colori differenti anche solo per tonalità. Percepiamo appena delle linee di contorno che delimitano solo parti principali (ad esempio occhi, zigomi, chiome dei capelli...) con l'ovvio risultato che tutto sembra più piatto di una tavola da surf. Orribile, infine, il fermo immagine che ci viene rifilato verso la fine del film: l'infermiera incaricata di accudire il signor Takazawa, Haruko, si blocca atterrita dinnanzi allo Z-001, ormai agli apici ella sua trasformazione, ma viene utilizzato un unico frame con la ragazza in primo piano e le mani al volto, col solo audio delle urla ad "animare" la scena. Se si tratta di una svista è davvero un errore grossolano.
Insomma, cercate il giusto approccio se volete visionare quest'opera e non fatevi fuorviare dall'altisonante nome di Katsuhiro Otomo.
Nota Bene: questo cartone è stato adattato a manga col nome di "ZeD". Avverto però che non è un pratica usuale quella di produrre prima gli anime e poi le rispettive trasposizioni cartacee, quindi prendete anche questo fumetto con le dovute precauzioni.
Come detto, Katsuhiro Otomo è la mente degli avvenimenti e in parte il realizzatore del mecha design ma la regia appartiene a Hiroyuki Kitakubo, mentre il character design a Hisashi Eguchi. Soprattutto quest'ultimo contributo, unito a quello dei vari animatori, rende vani gli sforzi, seppur lievi rispetto ad opere più grandi, di Otomo. Tutto all'interno di questa visione si muove in maniera oltremodo lenta e a scatti, dandoci la continua sensazione che manchino dei fotogrammi. La conseguenza più grave di questa assenza di fluidità è la resa approssimativa delle varie trasformazioni che lo Z-001 subisce durante la pellicola, mutamenti che pure Otomo aveva dovuto curare con qualche soddisfazione. La definizione dei personaggi poi è alquanto approssimativa, nell'aspetto fisico come nella fisionomia. Non viene sfruttato per niente il tratteggio per dare profondità, viene invece adoperato un chiaro-scuro dato dalla semplice giustapposizione di colori differenti anche solo per tonalità. Percepiamo appena delle linee di contorno che delimitano solo parti principali (ad esempio occhi, zigomi, chiome dei capelli...) con l'ovvio risultato che tutto sembra più piatto di una tavola da surf. Orribile, infine, il fermo immagine che ci viene rifilato verso la fine del film: l'infermiera incaricata di accudire il signor Takazawa, Haruko, si blocca atterrita dinnanzi allo Z-001, ormai agli apici ella sua trasformazione, ma viene utilizzato un unico frame con la ragazza in primo piano e le mani al volto, col solo audio delle urla ad "animare" la scena. Se si tratta di una svista è davvero un errore grossolano.
Insomma, cercate il giusto approccio se volete visionare quest'opera e non fatevi fuorviare dall'altisonante nome di Katsuhiro Otomo.
Nota Bene: questo cartone è stato adattato a manga col nome di "ZeD". Avverto però che non è un pratica usuale quella di produrre prima gli anime e poi le rispettive trasposizioni cartacee, quindi prendete anche questo fumetto con le dovute precauzioni.