Recensione
Kill la Kill
7.0/10
Se siete soliti bazzicare per la rete, e vi ritenete un minimo appassionati di animazione giapponese, è quasi impossibile che ultimamente non abbiate sentito nominare almeno una volta Kill La Kill, la serie che "ha salvato gli anime". D'altronde, diversi mesi prima che la serie stessa iniziasse ad essere trasmessa, il suo nome era già diffuso come il Verbo, e l'hype del pubblico considerevolmente al di fuori di qualsiasi scala di misurazione. Invero, nonostante l'espressione "Anime is saved" fosse nata più per ironia che per altro, tale entusiasmo tra gli internauti un fondamento ce l'aveva ugualmente: Kill La Kill si presentava come l'ultima fatica del ben noto Hiroyuki Imaishi, coadiuvato da quella parte di Gainax che l'ha seguito nel suo esodo verso il nuovo studio appena nato (Trigger). Insomma, le credenziali erano tutto fuorché povere. Sorprendentemente, il primo impatto di Kill La Kill con il pubblico ebbe del miracoloso: in effetti riuscì non solo a mantenere le aspettative altissime, ma anche a dimostrare di saper sopravvivere al suo stesso hype, mostrando agli spettatori meno di zero, ma giocandosi bene le proprie carte.
Con tale asserzione preannuncio già una delle peculiarità di Kill La Kill: il suo mostrare, letteralmente, lo zero assoluto... ma con stile, con spacconate, tamarrate et similia. Per tutto il corso della serie si riesce ad intuire molti degli sviluppi, ma ciò che sorprende è il come vengono messi in scena. A mio avviso (ma è solo una mia interpretazione) la dimensione corretta nella quale inserire Kill La Kill è quella della parodia. Questa serie non è altro che una magistrale caricatura di se stessa e dell'animazione in generale, condita con una regia che si fa riconoscere per i ritmi serrati, al limite della frenesia. Imaishi prende i cliché più abusati e riciclati dell'animazione giapponese e li mette in ridicolo, li estremizza ed esaspera, li esagera e distorce in un parossistico virtuosismo registico che, a tutti gli effetti, riesce a rendere gradevole il tutto nonostante la sua palese ovvietà. Senza contare, inoltre, la bassissima qualità delle animazioni, alla faccia del fotorealismo odierno di studi come, ad esempio, Kyoto Animation. Lo scarso budget si fa sentire, ma non sono realmente essenziali le animazioni superfluide, e questo Imaishi lo dimostra avvalendosi di una regia brillante, che inventa soluzioni visive e dinamiche davvero bizzarre ed efficaci.
Ritornando in tema, non so se l'intento degli autori fosse effettivamente quello di prendersi gioco di buona parte dei topoi classici dell'animazione, ma di fatto è quello che fanno; esempi eclatanti a riguardo sono lo scontro tra Ryuko e Satsuki, che avviene già verso i primi episodi, surclassando in velocità qualsiasi stilema canonico riguardante la relazione protagonista-boss. Oppure la vidimazione del fanservice operata nel medesimo episodio. Si estremizza ogni cosa, giustificando in modo chiaramente parodistico, ma impeccabile all'interno dell'economia dell'anime, ogni eccesso in tal senso. Questo viene sottolineato ancora di più dai ritmi narrativi allucinanti, che si fanno sentire sin dagli esordi bruciando le tappe in modo quasi ridicolo. In tal guisa ogni "colpo di scena" viene disatteso e stravolto nel giro dell'episodio stesso, o al massimo di quello successivo, generando una grande confusione ed un baccano notevoli. A contribuire al regime parodistico della serie ci pensa poi un nutrito "corpus" di citazioni e riferimenti ad altri anime, e non solo (chiaro divertissement per gli spettatori con una certa cultura in questo ambito), il che si traduce sostanzialmente in un valore aggiunto, anche se piuttosto fine a se stesso.
Ahimè, vorrei potere continuare a parlare solamente di quelli che io ritengo essere gli elementi positivi di Kill La Kill, ma, mio malgrado, sono costretto a dare voce al mio senso critico per palesare alcune pecche che, a mio avviso, ammorbano la seconda parte della serie. Parlo così perché ritengo che Kill La Kill segua una parabola discendente a partire dall'episodio 21, che sarebbe poi uno degli apici della serie. Da questo "calo" non si solleverà più fino alla fine degli episodi. Il nucleo di tale critica si tripartisce in diversi elementi, a partire dalla scabra gestione dei personaggi, che alla fine si rivelano delle mere ed inutili comparse, in particolare di Matoi, la cui figura viene offuscata dall'astro nascente di Satsuki. Il secondo elemento è invece costituito dallo scadere nella ripetitività di alcune gag e trovate, che alla lunga non fanno più ridere. Ad esempio i siparietti di Mako, inizialmente molto divertenti, dopo una ventina di episodi in cui si ripetono uguali cominciano a diventare monotoni se non fastidiosi. Ultimo, ma non per importanza, il fatto che nel finale Kill La Kill si conformi troppo al suo passato, a questo punto avrei preferito che Trigger avesse il coraggio per proporre qualcosa di nuovo, ma purtroppo non osa affatto e offre il finale che il fandom gli ha dettato.
Per concludere, trovo che Kill La Kill sia un'ottima serie di intrattenimento, un divertissement eccezionale da guardare con leggerezza, poiché l'unica cosa che lo sorregge è la sua regia, che ha la capacità di rendere affascinante un guazzabuglio di cose già viste e riviste, di cui si possono prevedere gli sviluppi tappa dopo tappa, senza troppa fatica. Il punto non è cosa viene mostrato, ma "come" viene mostrato, ed in questo KLK è senza rivali. Inoltre, menzione speciale merita la colonna sonora, pressoché perfetta per questo titolo, si sposa efficacemente con il regime frenetico della serie.
Voto:7/8
Con tale asserzione preannuncio già una delle peculiarità di Kill La Kill: il suo mostrare, letteralmente, lo zero assoluto... ma con stile, con spacconate, tamarrate et similia. Per tutto il corso della serie si riesce ad intuire molti degli sviluppi, ma ciò che sorprende è il come vengono messi in scena. A mio avviso (ma è solo una mia interpretazione) la dimensione corretta nella quale inserire Kill La Kill è quella della parodia. Questa serie non è altro che una magistrale caricatura di se stessa e dell'animazione in generale, condita con una regia che si fa riconoscere per i ritmi serrati, al limite della frenesia. Imaishi prende i cliché più abusati e riciclati dell'animazione giapponese e li mette in ridicolo, li estremizza ed esaspera, li esagera e distorce in un parossistico virtuosismo registico che, a tutti gli effetti, riesce a rendere gradevole il tutto nonostante la sua palese ovvietà. Senza contare, inoltre, la bassissima qualità delle animazioni, alla faccia del fotorealismo odierno di studi come, ad esempio, Kyoto Animation. Lo scarso budget si fa sentire, ma non sono realmente essenziali le animazioni superfluide, e questo Imaishi lo dimostra avvalendosi di una regia brillante, che inventa soluzioni visive e dinamiche davvero bizzarre ed efficaci.
Ritornando in tema, non so se l'intento degli autori fosse effettivamente quello di prendersi gioco di buona parte dei topoi classici dell'animazione, ma di fatto è quello che fanno; esempi eclatanti a riguardo sono lo scontro tra Ryuko e Satsuki, che avviene già verso i primi episodi, surclassando in velocità qualsiasi stilema canonico riguardante la relazione protagonista-boss. Oppure la vidimazione del fanservice operata nel medesimo episodio. Si estremizza ogni cosa, giustificando in modo chiaramente parodistico, ma impeccabile all'interno dell'economia dell'anime, ogni eccesso in tal senso. Questo viene sottolineato ancora di più dai ritmi narrativi allucinanti, che si fanno sentire sin dagli esordi bruciando le tappe in modo quasi ridicolo. In tal guisa ogni "colpo di scena" viene disatteso e stravolto nel giro dell'episodio stesso, o al massimo di quello successivo, generando una grande confusione ed un baccano notevoli. A contribuire al regime parodistico della serie ci pensa poi un nutrito "corpus" di citazioni e riferimenti ad altri anime, e non solo (chiaro divertissement per gli spettatori con una certa cultura in questo ambito), il che si traduce sostanzialmente in un valore aggiunto, anche se piuttosto fine a se stesso.
Ahimè, vorrei potere continuare a parlare solamente di quelli che io ritengo essere gli elementi positivi di Kill La Kill, ma, mio malgrado, sono costretto a dare voce al mio senso critico per palesare alcune pecche che, a mio avviso, ammorbano la seconda parte della serie. Parlo così perché ritengo che Kill La Kill segua una parabola discendente a partire dall'episodio 21, che sarebbe poi uno degli apici della serie. Da questo "calo" non si solleverà più fino alla fine degli episodi. Il nucleo di tale critica si tripartisce in diversi elementi, a partire dalla scabra gestione dei personaggi, che alla fine si rivelano delle mere ed inutili comparse, in particolare di Matoi, la cui figura viene offuscata dall'astro nascente di Satsuki. Il secondo elemento è invece costituito dallo scadere nella ripetitività di alcune gag e trovate, che alla lunga non fanno più ridere. Ad esempio i siparietti di Mako, inizialmente molto divertenti, dopo una ventina di episodi in cui si ripetono uguali cominciano a diventare monotoni se non fastidiosi. Ultimo, ma non per importanza, il fatto che nel finale Kill La Kill si conformi troppo al suo passato, a questo punto avrei preferito che Trigger avesse il coraggio per proporre qualcosa di nuovo, ma purtroppo non osa affatto e offre il finale che il fandom gli ha dettato.
Per concludere, trovo che Kill La Kill sia un'ottima serie di intrattenimento, un divertissement eccezionale da guardare con leggerezza, poiché l'unica cosa che lo sorregge è la sua regia, che ha la capacità di rendere affascinante un guazzabuglio di cose già viste e riviste, di cui si possono prevedere gli sviluppi tappa dopo tappa, senza troppa fatica. Il punto non è cosa viene mostrato, ma "come" viene mostrato, ed in questo KLK è senza rivali. Inoltre, menzione speciale merita la colonna sonora, pressoché perfetta per questo titolo, si sposa efficacemente con il regime frenetico della serie.
Voto:7/8