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BOTAN: "Ho chiamato per dirti che a quanto pare gli insetti del mondo degli Spettri si annidano soltanto nelle menti delle persone depresse."
YUSUKE: "Questo dovrebbe restringere almeno un po' il tuo campo di ricerca, no?"
BOTAN: "Non direi. Questo è il Giappone, dopotutto."
YUSUKE: "Ah, già."
(da "Yu Yu Hakusho Abridged")

"Intelligente, ma non si applica": ecco cosa scriverei sulla pagella di Yoshihiro Togashi se lui fosse uno studente e io la sua insegnante. Il suo "Yu Yu Hakusho", che noi conosciamo come "Yu degli Spettri", presenta infatti dei difetti a parer mio non imputabili né ai problemi di salute di cui ha sofferto durante la sua serializzazione (pare che la pressione a cui era sottoposto fosse tale da causargli continui dolori al petto) né ad un editing che, da profana, definirei non pervenuto. Lungi da me sminuire le ripercussioni che entrambi possono avere su un'opera e sul suo autore, ma i casi sono due: o quest'ultimo ha così tante idee da ritrovarsi con il cervello completamente otturato - e può succedere - oppure ha una pessima visione del quadro d'insieme, e allora non ci son cristi. Una delle tante massime attribuite a Giulio Andreotti, scomparso il 6 maggio di quest'anno, recita così: "A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si indovina". Per non saper né leggere né scrivere sono pronta a correre il rischio di accumulare un po' di karma negativo, diciamo quel tanto che mi consentirebbe di rinascere sotto forma di coniglietto.

A quattordici anni Yusuke Urameshi ha un curriculum da delinquente di tutto rispetto: beve, fuma, si fa beffe dell'obbligo scolastico ma soprattutto non perde occasione di partecipare a risse che finirà inevitabilmente per vincere a mani basse. Ha tuttavia un lato più tenero che un giorno lo spinge a sacrificarsi per un bambino in procinto di essere investito da un'auto, provocando un enorme scompiglio nell'Aldilà giacché non era previsto che l'incidente avesse delle conseguenze fatali. Chiamato ad occuparsi della sua pratica Koenma, figlio del Re degli Inferi, propone di risolvere l'impasse riportandolo in vita: in cambio il ragazzo dovrà diventare un detective del mondo degli Spiriti, a cui spetta il delicato compito di intervenire qualora forze oscure minacciassero di interferire con le attività degli umani. Guidato alla meno peggio da Botan, la più improbabile traghettatrice di anime che si possa mai concepire, verrà successivamente affiancato da Kazuma Kuwabara, un altro teppista che nutre nei suoi confronti una rivalità a senso unico, dallo spirito-volpe Kurama e dal demone Hiei, con i quali vivrà avventure che sovente andranno ben oltre l'incarico affidatogli.

Siamo nel 1990, gente: a quell'epoca su "Weekly Shōnen Jump" transitavano diversi soggetti a prima vita tutt'altro che raccomandabili, con acconciature alla pompadour, la divisa scolastica indossata a mo' di seconda pelle, un rapporto conflittuale con calzini e bottoni, sarashi e/o varia paccottiglia in bella mostra, armi più o meno improprie a portata di mano e via discorrendo. E poi c'era "Dragon Ball" con i suoi tornei e i suoi scontri infiniti, entrambe formule da cui molti titoli suoi coevi, compreso questo, hanno attinto a piene mani. Ai tempi, del resto, si trattava di una pratica molto diffusa e perché no, anche vicendevole.
Nella fattispecie "Yu Yu Hakusho" comincia facendosi i fatti suoi, si trasforma in "Dragon Ball", attraversa una fase à la "Jojo" (anche se qui il nesso tra zone ed energia astrale è più marcato rispetto a quello tra Stand e forza spirituale), torna sui suoi passi con un altro aborto di torneo per poi precipitare nel ridicolo con un finale il cui spirito dovrebbe, in teoria, rimandare a quello più rilassato dei primi capitoli. Se da una parte fa piacere constatare che Togashi, o chi per lui, abbia almeno sentito parlare della cosiddetta pistola di Čechov, dall'altra, più che farla sparare, nella maggior parte dei casi si direbbe che l'azioni per sbaglio. Sfortunatamente nell'info-rigurgito, altra terribile eredità di quegli anni, è molto più ferrato.

A dispetto di siffatte premesse l'introspezione psicologica, quantunque un po' discontinua, risulta nel complesso più curata di quanto sarebbe lecito aspettarsi da un impianto narrativo così farraginoso: certo Yusuke è molto stereotipato, ma non per questo bidimensionale, anche se personalmente ritengo che Togashi abbia dato il meglio di sé nel delineare il carattere dei suoi tre compagni d'avventure. Meritano inoltre una menzione speciale la maestra Genkai e Koenma. Diversamente tra i cattivi promuovo a pieni voti solo Sensui (anche se il colpo di scena che lo riguarda è decisamente cheap) e il Toguro maggiore, mentre lo scavo introspettivo del minore, per quanto ricco di spunti, mi è parso leggermene tardivo. E poi vabbè, c'è la solita valanga di personaggi secondari/antagonisti del momento tipica dei battle shōnen la cui finalità principale è quella di fare colore, ma nulla a cui un lettore già aduso al genere non possa fare il callo. Una cosa comunque è certa: Togashi non avrà molta familiarità con alcuni dei più comuni espedienti narrativi, ma sa il fatto suo in fatto di "mood whiplash", come si evince già dai primissimi capitoli.

Il tratto ha bisogno di qualche volume per assestarsi, ma questo è normale; non lo è molto la sua discontinuità a livello di impegno profuso nel dare vita a a questa o quella scena, e che soltanto in pochi casi si può classificare senza ombra di dubbio come una scelta stilistica voluta. È proprio il caso di dirlo: tale mano, tali disegni. Nel complesso, tuttavia, il comparto grafico risulta un supporto più che adeguato per un titolo come questo, fungendogli nel contempo da parafulmine.

Non fraintendetemi: "Yu Yu Hakusho" non è affatto un brutto manga. Il problema è che avrebbe potuto essere anche meglio, ragion per cui non mi sento di dargli più di 7. Se avesse mantenuto fino alla fine la propria identità, anche e soprattutto per mezzo di una sceneggiatura migliore, avrebbe potuto aspirare a ben altro.