Recensione
Suzume
5.0/10
Recensione di killer_bee
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Non è una novità che i film di Shinkai pecchino di autorialità, ma è una costante che da qualche anno a questa parte si è accentuata. L’enorme successo di Your Name ha decretato l’impiego di un canovaccio - la storia d’amore adolescenziale in contesti di cataclismi naturali, che si continua a ripetere. Suzume naviga in queste acque, spinto da logiche tristemente produttive più che creative: diamo ai fan quello che vogliono e tutto andrà bene, minimo rischio massimo risultato. Lo stesso regista inizialmente aveva pensato a un film diverso, in cui la storia d’amore doveva essere tra due ragazze. “All'inizio, volevo trasformare questa storia in un film su Suzume e un'altra ragazza in viaggio […] personalmente mi sentivo un po’ stanco di raccontare una storia d'amore in modo molto tradizionale”. Gli è stato suggerito di cambiare il sesso di una delle due.
Il risultato è un’opera che manca di incisività, che sa di già visto in tutte le sue parti. Sopravvive grazie al compartimento tecnico sempre altissimo (eccezion fatta per una CGI a volte poco convincente, soprattutto durante le scene del verme) e tante citazioni, sia al mainstream miyazakiano, sia come sempre a se stesso. Perlomeno questa volta ci vengono risparmiati cameo di personaggi provenienti da vecchi film. Sia chiaro, rispetto all’approccio all’animazione di maestri come Oshii o Kon, Shinkai ha sempre avuto un occhio di riguardo per le masse, ma sfruttare un archetipo consolidato e spremere latte dalla mammella finché ce n’è, è cosa ben diversa. È disorientante la facilità con cui si anticipano certi avvenimenti - finale in primis, perché identici a quelli di tutti gli altri film.
Suzume soffre di un approccio orientato all’azione sin dal primo minuto, in cui i protagonisti appaiono poco stratificati, piatti nei rapporti. Si incontrano ed è subito amore, entrambi disposti a sacrificarsi l’uno per l’altra. Ma un rapporto va costruito nei minuti della visione, altrimenti non è credibile o peggio, non interessa. E questo è proprio ciò che accade: potrebbero morire entrambi da un momento all’altro e non farebbe smuovere un muscolo, perché non ci viene detto abbastanza delle loro emozioni, caratteri, dei conflitti che li spingono ad agire. Dovrebbe essere un film sull’elaborazione del lutto, ma sul mondo interiore della protagonista non ci si sofferma: la storia parte in quinta, tralasciando quelle scene, anche quotidiane, anche piccole, utili a inquadrare un personaggio, a conoscerlo, a empatizzare. Suzume è una ragazza tremendamente neutra, un npc che si muove in un’area di superficialità nonostante il triste passato, da cui emerge unicamente in una scena sul finale. Il risultato è che nei momenti di catarsi è come se un interruttore si spostasse da 0 a 1, dal niente al tutto, dando vita a dialoghi sconcertanti o ancora peggio ridicoli, sortendo l’effetto opposto a quello desiderato - quello con la zia Tamaki per citarne uno.
Souta, il nostro coprotagonista, è caratterizzato persino peggio di Suzume: un ragazzo con un’antica famiglia alle spalle di cui non viene approfondito quasi nulla, neanche dopo un certo incontro annunciato come rivelatore ma che a conti fatti non aggiunge niente alla trama. Studia per diventare insegnante ma allo stesso tempo deve adempiere al ruolo di “chiudiporte” dettato dalla sua famiglia, generando un vago conflitto interiore che non viene mai esplorato sul serio, perché la superficialità prevale tanto quanto la necessità di passare all’azione, che oltretutto è reiterata per 3-4 volte durante il film - con l’apparizione del verme e la chiusura dei portali.
Infine, Suzume è manchevole persino nelle intenzioni allegoriche. Vi è un riferimento diretto ai cataclismi, anche recenti, che hanno coinvolto il Giappone, ma non è mai reso palese cosa possa aver significato per i giapponesi, come l’abbiano vissuto, cosa abbiano perso, mettendo in scena un teatro di vaghezza che poco c’entra con il tema in questione. Suggerisco film come Himizu per catapultarsi nel vero Giappone che ha dovuto fare i conti con un disastro naturale di quella portata per capire quanto Suzume cerchi di mostrare un Paese edulcorato e tutto d’un pezzo anche nella tragedia, che è infatti presente ma messa in secondo piano: nessuno si preoccupa veramente dei terremoti, che oltretutto avvengono in grandi quantità e in pochissimi giorni, perché l’attenzione è catalizzata sui protagonisti.
Resta godibile per le musiche e le animazioni superiori alla media, ma la sensazione è quella di un grande guscio vuoto, un film di maniera, di colori sgargianti e dialoghi strappalacrime, il cui scopo è ancorare il pubblico mainstream a storie che profumano di grande evento, ma che tolti i condimenti sono sempre la solita minestra.
Il risultato è un’opera che manca di incisività, che sa di già visto in tutte le sue parti. Sopravvive grazie al compartimento tecnico sempre altissimo (eccezion fatta per una CGI a volte poco convincente, soprattutto durante le scene del verme) e tante citazioni, sia al mainstream miyazakiano, sia come sempre a se stesso. Perlomeno questa volta ci vengono risparmiati cameo di personaggi provenienti da vecchi film. Sia chiaro, rispetto all’approccio all’animazione di maestri come Oshii o Kon, Shinkai ha sempre avuto un occhio di riguardo per le masse, ma sfruttare un archetipo consolidato e spremere latte dalla mammella finché ce n’è, è cosa ben diversa. È disorientante la facilità con cui si anticipano certi avvenimenti - finale in primis, perché identici a quelli di tutti gli altri film.
Suzume soffre di un approccio orientato all’azione sin dal primo minuto, in cui i protagonisti appaiono poco stratificati, piatti nei rapporti. Si incontrano ed è subito amore, entrambi disposti a sacrificarsi l’uno per l’altra. Ma un rapporto va costruito nei minuti della visione, altrimenti non è credibile o peggio, non interessa. E questo è proprio ciò che accade: potrebbero morire entrambi da un momento all’altro e non farebbe smuovere un muscolo, perché non ci viene detto abbastanza delle loro emozioni, caratteri, dei conflitti che li spingono ad agire. Dovrebbe essere un film sull’elaborazione del lutto, ma sul mondo interiore della protagonista non ci si sofferma: la storia parte in quinta, tralasciando quelle scene, anche quotidiane, anche piccole, utili a inquadrare un personaggio, a conoscerlo, a empatizzare. Suzume è una ragazza tremendamente neutra, un npc che si muove in un’area di superficialità nonostante il triste passato, da cui emerge unicamente in una scena sul finale. Il risultato è che nei momenti di catarsi è come se un interruttore si spostasse da 0 a 1, dal niente al tutto, dando vita a dialoghi sconcertanti o ancora peggio ridicoli, sortendo l’effetto opposto a quello desiderato - quello con la zia Tamaki per citarne uno.
Souta, il nostro coprotagonista, è caratterizzato persino peggio di Suzume: un ragazzo con un’antica famiglia alle spalle di cui non viene approfondito quasi nulla, neanche dopo un certo incontro annunciato come rivelatore ma che a conti fatti non aggiunge niente alla trama. Studia per diventare insegnante ma allo stesso tempo deve adempiere al ruolo di “chiudiporte” dettato dalla sua famiglia, generando un vago conflitto interiore che non viene mai esplorato sul serio, perché la superficialità prevale tanto quanto la necessità di passare all’azione, che oltretutto è reiterata per 3-4 volte durante il film - con l’apparizione del verme e la chiusura dei portali.
Infine, Suzume è manchevole persino nelle intenzioni allegoriche. Vi è un riferimento diretto ai cataclismi, anche recenti, che hanno coinvolto il Giappone, ma non è mai reso palese cosa possa aver significato per i giapponesi, come l’abbiano vissuto, cosa abbiano perso, mettendo in scena un teatro di vaghezza che poco c’entra con il tema in questione. Suggerisco film come Himizu per catapultarsi nel vero Giappone che ha dovuto fare i conti con un disastro naturale di quella portata per capire quanto Suzume cerchi di mostrare un Paese edulcorato e tutto d’un pezzo anche nella tragedia, che è infatti presente ma messa in secondo piano: nessuno si preoccupa veramente dei terremoti, che oltretutto avvengono in grandi quantità e in pochissimi giorni, perché l’attenzione è catalizzata sui protagonisti.
Resta godibile per le musiche e le animazioni superiori alla media, ma la sensazione è quella di un grande guscio vuoto, un film di maniera, di colori sgargianti e dialoghi strappalacrime, il cui scopo è ancorare il pubblico mainstream a storie che profumano di grande evento, ma che tolti i condimenti sono sempre la solita minestra.