Recensione
L'isola errante
6.5/10
Recensione di DarkSoulRead
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Mikura è una postina del cielo e consegna pacchi guidando un idrovolante accompagnata dal suo inseparabile gatto Endeavour. Alla morte del suo amato nonno, Mikura eredita una delle attività aeree più importanti del globo, e con essa anche il sogno del defunto vecchio aviatore, ovvero raggiungere l’isola errante, una misteriosa isola leggendaria che sembra muoversi nascondendosi nei mari.
Kenji Tsuruta è un artista dei silenzi e “L’isola errante” incarna in toto la sua cifra stilistica, con una storia dal ritmo cadenzato, ma mai pesante, complice l’esiguità dei balloon e la linearità narrativa che riescono a rendere al solito la lettura scorrevole e veloce. Tornano elementi già visti sopratutto in “Forget me not”, come l’eredità lasciata dal nonno con relativo obiettivo da conseguire, le atmosfere sognanti sempre in bilico tra onirismo e realtà, e il feticismo di Tsuruta verso i gatti, d’altronde il mangaka si era già ampiamente dimostrato un autore ricorsivo dalla semantica definita che ripete le stesse formule, mutandole funzionalmente al contesto.
I richiami ad Hayao Miyazaki saltano immediatamente all’occhio; oltre al tema dell’aviazione, vero e proprio mantra del corpus opere miyazakiano, e ai lapalissiani rimandi a “Porco rosso”, si notano le influenze di lavori come “Conan il ragazzo del futuro” e sopratutto “Laputa il castello nel cielo”, che con “L’isola errante” condivide l’inseguimento del miraggio e l’ossessione per la dimensione chimerica: il raggiungimento di quel luogo alla “Isola che non c’è” che solo se ci credi riesce a materializzarsi.
Anche i disegni, dissolventi e sfumati, perfettamente confacenti all’opera, ricordano i magnifici lavori cartacei di Miyazaki (“Nausicaa della valle del vento”, “Il viaggio di Shuna”), con un tratto pittorico a linee aperte e tanti tratteggi in cui è l’occhio del lettore a completare quello che vede chiudendo le forme.
Kenji Tsuruta è un virtuoso del disegno, e artisticamente “L’isola errante” rappresenta il suo apogeo espressivo. Le tavole appaiono piene, ricche di elementi, che però non sovraccaricano il tratto, grazie anche alle numerose inquadrature verticali a campo largo che danno ampiezza alle immagini fornendo una sbalorditiva visione d’insieme. L’idrovolante, raffigurato da tutte le prospettive e angolazioni possibili, è denotativo di una grande capacità realizzativa, e l’ausilio di fotografie viene incontro all’autore nel concepimento dei particolareggiati dettagli angolari che, di fatto, rendono a tutti gli effetti il velivolo un “personaggio” tridimensionale. La protagonista, al solito longilinea e dolce, ma anche conturbante, è sempre in scena; la sua notevole altezza serve ad occupare meglio lo spazio, accentuando la sua sensualità e le sue pose dinoccolate.
Purtroppo l’autore non ha ancora realizzato il finale del manga, probabilmente mai lo farà - essendo passati più di 10 anni dalla prima pubblicazione dell’opera-, e la sbalorditiva consecutio di immagini viene interrotta proprio quando la narrativa giunge al suo climax.
Kenji Tsuruta consegna ancora una volta una storia incompleta, sospesa, eterea, che, al netto di quanto detto di buono fino ad ora, finisce per sprofondare nella sua stessa impalpabilità finale.
“L’isola errante” è una piccola chicca per tutti i fan di Tsuruta, risultando inevitabilmente una delusione per chi cerca da una storia risoluzioni e consistenza narrativa.
Kenji Tsuruta è un artista dei silenzi e “L’isola errante” incarna in toto la sua cifra stilistica, con una storia dal ritmo cadenzato, ma mai pesante, complice l’esiguità dei balloon e la linearità narrativa che riescono a rendere al solito la lettura scorrevole e veloce. Tornano elementi già visti sopratutto in “Forget me not”, come l’eredità lasciata dal nonno con relativo obiettivo da conseguire, le atmosfere sognanti sempre in bilico tra onirismo e realtà, e il feticismo di Tsuruta verso i gatti, d’altronde il mangaka si era già ampiamente dimostrato un autore ricorsivo dalla semantica definita che ripete le stesse formule, mutandole funzionalmente al contesto.
I richiami ad Hayao Miyazaki saltano immediatamente all’occhio; oltre al tema dell’aviazione, vero e proprio mantra del corpus opere miyazakiano, e ai lapalissiani rimandi a “Porco rosso”, si notano le influenze di lavori come “Conan il ragazzo del futuro” e sopratutto “Laputa il castello nel cielo”, che con “L’isola errante” condivide l’inseguimento del miraggio e l’ossessione per la dimensione chimerica: il raggiungimento di quel luogo alla “Isola che non c’è” che solo se ci credi riesce a materializzarsi.
Anche i disegni, dissolventi e sfumati, perfettamente confacenti all’opera, ricordano i magnifici lavori cartacei di Miyazaki (“Nausicaa della valle del vento”, “Il viaggio di Shuna”), con un tratto pittorico a linee aperte e tanti tratteggi in cui è l’occhio del lettore a completare quello che vede chiudendo le forme.
Kenji Tsuruta è un virtuoso del disegno, e artisticamente “L’isola errante” rappresenta il suo apogeo espressivo. Le tavole appaiono piene, ricche di elementi, che però non sovraccaricano il tratto, grazie anche alle numerose inquadrature verticali a campo largo che danno ampiezza alle immagini fornendo una sbalorditiva visione d’insieme. L’idrovolante, raffigurato da tutte le prospettive e angolazioni possibili, è denotativo di una grande capacità realizzativa, e l’ausilio di fotografie viene incontro all’autore nel concepimento dei particolareggiati dettagli angolari che, di fatto, rendono a tutti gli effetti il velivolo un “personaggio” tridimensionale. La protagonista, al solito longilinea e dolce, ma anche conturbante, è sempre in scena; la sua notevole altezza serve ad occupare meglio lo spazio, accentuando la sua sensualità e le sue pose dinoccolate.
Purtroppo l’autore non ha ancora realizzato il finale del manga, probabilmente mai lo farà - essendo passati più di 10 anni dalla prima pubblicazione dell’opera-, e la sbalorditiva consecutio di immagini viene interrotta proprio quando la narrativa giunge al suo climax.
Kenji Tsuruta consegna ancora una volta una storia incompleta, sospesa, eterea, che, al netto di quanto detto di buono fino ad ora, finisce per sprofondare nella sua stessa impalpabilità finale.
“L’isola errante” è una piccola chicca per tutti i fan di Tsuruta, risultando inevitabilmente una delusione per chi cerca da una storia risoluzioni e consistenza narrativa.