Recensione
Berserk
10.0/10
Nell’approcciarmi alla recensione di quello che ritengo uno dei manga migliori che abbia mai letto, per storia e per disegni, riconosco di essere in estrema difficoltà, perché parlare in maniera appassionata e approfondita di “Berserk” è questione tutt'altro che semplice.
La mia personalissima storia con il manga del compianto Kentarou Miura inizia, come già accaduto per altre opere, al Napoli Comicon, edizione 2022, la prima dopo la pandemia. All’epoca, avevo tempo e voglia a disposizione da dedicare alle live su Twitch, specialmente quelle incentrate sullo sconfinato mondo della cultura pop giapponese. Lo streamer che più di tutti riusciva ad intrattenermi era il buon vecchio Domenico, in arte Cavernadiplatone, che nelle sue live faceva una testa così ai suoi followers proprio su “Berserk”. Nonostante il suo ideatore e creatore fosse prematuramente scomparso, egli riteneva che il suo fosse un manga da leggere assolutamente, a tutti i costi. Così, per farla breve, al Napoli Comicon di quell’anno, da suo grande fan, mi misi in fila per una sorta di firmacopie, ma c’era un problema: non avevo nulla che potesse essere firmato, esclusa la maglietta che non volevo “imbrattare”. Allora, mi recai allo stand di manga più vicino e comprai, senza neanche pensarci, il primo volume di “Berserk”, che poi, non mi feci mai firmare. Onestamente, non sono mai stato un grande amante delle file chilometriche. Così, a casa mi ritrovai col volume iniziale di un manga che, a quel tempo, non avevo voglia di leggere e che sarebbe rimasto sullo scaffale per quasi due anni. Tra una settimana, infatti, inizierà il Napoli Comicon 2024 e io ho da qualche giorno finito di leggere quel capolavoro assoluto che è “Berserk”, scritto e disegnato dal genio Kentarou Miura.
Nel regno delle Midlands, un imprecisato posto di un ignoto paese, in un periodo storico sorprendentemente simile al medioevo europeo, s'aggira minaccioso un ragazzo vestito di nero, armato di uno spadone enorme, ben più grande di un essere umano. Il guerriero è guercio dall'occhio sinistro e monco del braccio destro (almeno nella versione occidentale) che ha rimpiazzato con una protesi metallica con dentro nascosto un piccolo cannone. Il ragazzo si chiama Gatsu e gira per il mondo in cerca di pura e semplice vendetta, per un torto subito nel passato, di cui ancora non si conosce la storia. Gatsu è un trovatello che è stato allevato da un condottiero di ventura e, da quest’ultimo, iniziato alle arti militari già a sei anni. Per merito di questo duro e duraturo apprendistato, il ragazzo è diventato un guerriero molto forte, che, nonostante le tante proposte di carriera decisamente più “allettanti”, che lo porterebbero a non vivere più il terrore della morte, incubo di ogni poveretto che disgraziatamente si guadagna da vivere come mercenario, decide di vagare di battaglia in battaglia. Un giorno, Gatsu si unisce ad un gruppo di mercenari capitanato da un ragazzo di non nobili origini, Grifis, che lo sconfigge in duello conquistando così la sua vita (“tu mi appartieni, deciderò io quando morirai”). Da questo momento in poi, inizia l’exploit di quello che sarà poi da tutti conosciuto come il Guerriero o Cavaliere Nero.
Come tutti sanno, anche quelli che “Berserk" non l’hanno mai letto e ne hanno solamente sentito parlare da terzi, nel manga, c’è un momento che fa da spartiacque totale: l’Eclissi. Per dirla semplicemente, esiste un “Berserk” precedente all’Eclissi ed esiste un “Berserk” successivo all’Eclisse. Per rendere meglio l’idea, c’è l’Età dell’Oro e poi ci sono tutte le altre saghe. E, onestamente, sull’Età dell’Oro c’è ben poco da dire, è un capolavoro assoluto, tanto da mettere d’accordo i critici di tutto il mondo. L’Età dell’Oro racconta dell’ingresso di Gatsu nell’Armata dei Falchi e del suo incontro, fondamentale per i destini di entrambi, con Grifis. Gatsu è un guerriero cresciuto a pane e guerra, che soltanto per un brevissimo periodo della sua drammatica vita ha conosciuto il calore dell’amore materno. Il “padre” Gambino lo ha iniziato alle arti della guerra in tenera età e, quindi, crescendo, Gatsu è diventato fin troppo familiare con questo mondo fatto di distruzione e solitudine. Per lui si potrebbe fare lo stesso discorso valido per la creatura del “Frankenstein” di Mary Shelley. Se Gatsu ha conosciuto quasi solo ed esclusivamente il male, non può fare del bene, anzi, non sa neanche che cosa sia. Gatsu è solo conoscitore di campi di battaglia, infatti, la sua migliore amica è una spada. Durante gli anni trascorsi nell’esercito mercenario del padre, Gatsu vive tante esperienze orribili, una in particolar modo, che lo cambiano in peggio e lo rendono un ragazzo apatico e scontroso. Tutto cambia quando, un giorno, incrocia la sua spada con quella di un altro ragazzo della sua stessa età, diverso soprattutto per la chioma bianca scintillante, Grifis, capitano di un gruppo di mercenari conosciuto come l’Armata dei Falchi. Potremmo dire che la saga, per la quasi sua interezza, sia basata sulla dicotomia tra questi due personaggi. Da un lato, Gatsu, l’ultimo arrivato nella Squadra dei Falchi, che riuscirà sin da subito a distinguersi in battaglia, tanto da scalare rapidamente le gerarchie. Seppur diffidente in un primo momento, egli si rende presto conto che l’Armata dei Falchi è diversa da qualsiasi altro gruppo di mercenari in cui abbia mai militato. Qui, fa la conoscenza di persone che arriveranno poi a rappresentare quella famiglia da lui mai avuta e tanto desiderata: Kolcas, Pipin, Judo, Rickert, Caska e Grifis. È grazie soprattutto alla loro sincera amicizia se Gatsu inizia ad aprirsi maggiormente ed apparire più sorridente. Egli si trova a proprio agio tra persone che come lui masticano una sola lingua, quella della guerra, e con loro vive alcuni dei momenti più felici e significativi della propria vita. Tanto basta a Gatsu per essere felice: avere una famiglia e continuare ad impugnare una spada su un campo di battaglia. Dall’altro lato, Grifis, il comandante dell’Armata dei Falchi. Fine stratega e grande conoscitore di tecniche militari, sarà soprattutto grazie alla sua intelligenza ed al suo ingegno se la Squadra dei Falchi arriverà a farsi un nome nelle Midlands. In Gatsu, trova un amico leale e sincero, a cui affidare la propria vita. Grifis, però, a differenza del Guerriero Nero, non si accontenta della propria condizione, perché vuole costantemente migliorarla. Egli ha un sogno: avere un regno tutto suo. E, al fine di coronare questo sogno, è disposto a fare qualsiasi cosa. A questo punto, Miura pone indirettamente al lettore un quesito esistenzialista: ‘cosa sei disposto a sacrificare per raggiungere il tuo sogno? Se il coronamento di quest’ultimo comportasse il sacrificio dei tuoi stessi amici, saresti comunque disposto ad andare avanti oppure avresti la forza e la volontà di fermarti?’. La strada scelta da Grifis, noi lettori di “Berserk”, la conosciamo molto bene, ma se dovessimo trovarci nella sua stessa situazione, come reagiremmo? In questo modo, Miura porta i suoi lettori a porsi delle domande e, soprattutto, a provare dei sentimenti fortissimi verso i protagonisti della storia. Senza ombra di dubbio, l’Eclissi rappresenta l’apice del manga e l’Età dell’Oro la saga più bella e coinvolgente, tant'è che spesso, nel leggere i volumi successivi, mi domandavo se il manga avrebbe mai più raggiunto quei livelli. Quando penso all’Età dell’Oro, un solo sentimento mi pervade: la nostalgia.
Nonostante, per quanto mi riguarda, i picchi dell’Eclisse non siano mai più stati raggiunti nel manga, tutte le saghe successive a quella dell’Età dell’Oro restano di grandissimo impatto e coinvolgimento. L’Armata dei Falchi come la conoscevamo non esiste più e, adesso, ci sono soltanto Gatsu e Caska, i quali intraprendono un lungo viaggio, destinato a concludersi soltanto dopo moltissime avventure e peripezie. Nel corso di questo itinerario, i due fanno la conoscenza di nuovi amici, non soltanto umani, e Gatsu sperimenta una situazione mai provata prima di allora, quella di non dover combattere più soltanto per sé stesso, ma anche per qualcun altro, che lui vuole proteggere ad ogni costo. Questa situazione del tutto nuova è ben rappresentata dall’immagine della spada che, per la prima volta, viene ad assumere un peso maggiore per Gatsu, perché da quella spada non dipende più soltanto la sua vita. Quello compiuto dal Guerriero Nero viene ad assumere i connotati di un autentico viaggio di formazione, durante il quale il gruppo originariamente composto da lui e Caska accoglie nuovi membri: Pack, Isidoro, Shilke, Ibarella, Farnese, Serpico, Roderick, Magnifico e Isma. Al loro fianco, Gatsu diventa un uomo migliore e, grazie alla presenza in particolar modo di Isidoro e Pack, la storia viene ad assumere dei toni più leggeri e comici, utili a spezzare quello cupo originario e distintivo dell’intero manga. Più di ogni altra cosa, a mio modesto avviso, questa parte dell’opera è dedicata ad unico grande tema: l’amore. A dispetto di ciò che si potrebbe pensare, “Berserk” è e sa essere anche un manga romantico, che racconta di una stupenda, seppur travagliata, storia d’amore, fatta di devozione ed incomprensioni, che vede protagonisti Gatsu e Caska. Per lei e soltanto per lei, Gatsu si decide ad intraprendere un lungo viaggio, in apparenza senza meta. Per lei, Gatsu si immola istintivamente contro quei nemici che minacciano la loro sicurezza. Per lei, cerca ed impara ad essere diverso da come era prima, meno scontroso e più comprensivo e maturo. Certo, non sarà la storia d’amore rose e fiori tipica delle romcom, con il finale già scritto ad inizio storia, ma la devozione e il sentimento che animano Gatsu non li ho riscontrati in quasi nessun altro personaggio, che fosse di un anime, un manga o una serie tv.
Un ultimo brevissimo accenno lo merita il tema di Dio, che trova approfondimento in un capitolo scritto da Miura ma mai pubblicato a volume, perché da lui stesso ritenuto troppo ricco di contenuti ed informazioni. Di certo, non mi ritengo all’altezza per trattare un tema così ampio e complesso, ma il modo in cui Miura parla di Dio, avanzando l’idea che egli sia stato creato dall’uomo e che contenga dentro di sé sia il bene che il male, ci fa capire come “Berserk” sia un manga estremamente pregno di filosofia, in particolar modo quella di Nietzsche. La morte di Dio e l’idea della creazione umana della divinità, pur essendo diventate incredibilmente mainstream, sono concetti che mi hanno sempre affascinato, sin dalle superiori. Anche sotto questo punto di vista, almeno con il sottoscritto, Miura ha fatto centro.
Infine, mi sembra doveroso esprimermi sui disegni. Onestamente, una sola parola mi viene in mente per descriverli: perfezione. Ogni tavola è un’opera d’arte, da ammirare e stare a contemplare per minuti. Il tratto di Miura, come quello di Go Nagai a cui chiaramente si ispira, soprattutto in alcune espressioni di Gatsu, è incredibilmente sporco ma, allo stesso tempo, chiaro e preciso. Raramente non sono riuscito a capire qualche tavola e, lo ammetto, in quei casi era solo ed esclusivamente per la mia negligenza e basta. Ho perso il conto delle volte in cui mi sono ritrovato a sgranare gli occhi davanti ad un disegno di Miura, che col passare del tempo e degli anni era riuscito addirittura a perfezionare un tratto già distintivo e sensazionale all’altezza della prima pagina del primo capitolo. “Berserk” non sarebbe stato lo stesso senza i disegni di Miura e, mi duole dirlo, non è e non potrà mai più essere lo stesso dopo la morte del suo creatore, a cui va un profondo grazie, per aver scritto e disegnato una delle storie più complete ed emozionanti in cui mi sia mai imbattuto.
Arrivato alla fine di questa recensione, mi rendo conto di aver scritto e detto tanto, ma non tutto, questo è certo. Di “Berserk”, potrei stare a parlare per giorni, senza stancarmi mai ed anzi trovando sempre qualcosa di nuovo di cui discutere. Perché, a differenza di ciò che molti sostengono, “Berserk” è tutto bello, fatta eccezione per qualche rallentamento intorno al volume 33-34. D’altronde, però, se il suo stesso creatore aveva cominciato ad avere delle difficoltà, un motivo ci dovrà pur essere stato. A questo punto, almeno per il sottoscritto, resta un solo grande nodo da sciogliere, quello del voto, che però, alla fine, è e resta solamente un numero. Come sempre, conta molto di più ciò che un’opera trasmette e “Berserk” è riuscito a farmi sperimentare, in circa quaranta volumi, quasi tutto il ventaglio vastissimo delle emozioni umane.
Grazie di tutto sensei, per aver creato una storia e dei personaggi immortali, destinati a rimanere nei cuori di tantissimi lettori in tutto il mondo.
La mia personalissima storia con il manga del compianto Kentarou Miura inizia, come già accaduto per altre opere, al Napoli Comicon, edizione 2022, la prima dopo la pandemia. All’epoca, avevo tempo e voglia a disposizione da dedicare alle live su Twitch, specialmente quelle incentrate sullo sconfinato mondo della cultura pop giapponese. Lo streamer che più di tutti riusciva ad intrattenermi era il buon vecchio Domenico, in arte Cavernadiplatone, che nelle sue live faceva una testa così ai suoi followers proprio su “Berserk”. Nonostante il suo ideatore e creatore fosse prematuramente scomparso, egli riteneva che il suo fosse un manga da leggere assolutamente, a tutti i costi. Così, per farla breve, al Napoli Comicon di quell’anno, da suo grande fan, mi misi in fila per una sorta di firmacopie, ma c’era un problema: non avevo nulla che potesse essere firmato, esclusa la maglietta che non volevo “imbrattare”. Allora, mi recai allo stand di manga più vicino e comprai, senza neanche pensarci, il primo volume di “Berserk”, che poi, non mi feci mai firmare. Onestamente, non sono mai stato un grande amante delle file chilometriche. Così, a casa mi ritrovai col volume iniziale di un manga che, a quel tempo, non avevo voglia di leggere e che sarebbe rimasto sullo scaffale per quasi due anni. Tra una settimana, infatti, inizierà il Napoli Comicon 2024 e io ho da qualche giorno finito di leggere quel capolavoro assoluto che è “Berserk”, scritto e disegnato dal genio Kentarou Miura.
Nel regno delle Midlands, un imprecisato posto di un ignoto paese, in un periodo storico sorprendentemente simile al medioevo europeo, s'aggira minaccioso un ragazzo vestito di nero, armato di uno spadone enorme, ben più grande di un essere umano. Il guerriero è guercio dall'occhio sinistro e monco del braccio destro (almeno nella versione occidentale) che ha rimpiazzato con una protesi metallica con dentro nascosto un piccolo cannone. Il ragazzo si chiama Gatsu e gira per il mondo in cerca di pura e semplice vendetta, per un torto subito nel passato, di cui ancora non si conosce la storia. Gatsu è un trovatello che è stato allevato da un condottiero di ventura e, da quest’ultimo, iniziato alle arti militari già a sei anni. Per merito di questo duro e duraturo apprendistato, il ragazzo è diventato un guerriero molto forte, che, nonostante le tante proposte di carriera decisamente più “allettanti”, che lo porterebbero a non vivere più il terrore della morte, incubo di ogni poveretto che disgraziatamente si guadagna da vivere come mercenario, decide di vagare di battaglia in battaglia. Un giorno, Gatsu si unisce ad un gruppo di mercenari capitanato da un ragazzo di non nobili origini, Grifis, che lo sconfigge in duello conquistando così la sua vita (“tu mi appartieni, deciderò io quando morirai”). Da questo momento in poi, inizia l’exploit di quello che sarà poi da tutti conosciuto come il Guerriero o Cavaliere Nero.
Come tutti sanno, anche quelli che “Berserk" non l’hanno mai letto e ne hanno solamente sentito parlare da terzi, nel manga, c’è un momento che fa da spartiacque totale: l’Eclissi. Per dirla semplicemente, esiste un “Berserk” precedente all’Eclissi ed esiste un “Berserk” successivo all’Eclisse. Per rendere meglio l’idea, c’è l’Età dell’Oro e poi ci sono tutte le altre saghe. E, onestamente, sull’Età dell’Oro c’è ben poco da dire, è un capolavoro assoluto, tanto da mettere d’accordo i critici di tutto il mondo. L’Età dell’Oro racconta dell’ingresso di Gatsu nell’Armata dei Falchi e del suo incontro, fondamentale per i destini di entrambi, con Grifis. Gatsu è un guerriero cresciuto a pane e guerra, che soltanto per un brevissimo periodo della sua drammatica vita ha conosciuto il calore dell’amore materno. Il “padre” Gambino lo ha iniziato alle arti della guerra in tenera età e, quindi, crescendo, Gatsu è diventato fin troppo familiare con questo mondo fatto di distruzione e solitudine. Per lui si potrebbe fare lo stesso discorso valido per la creatura del “Frankenstein” di Mary Shelley. Se Gatsu ha conosciuto quasi solo ed esclusivamente il male, non può fare del bene, anzi, non sa neanche che cosa sia. Gatsu è solo conoscitore di campi di battaglia, infatti, la sua migliore amica è una spada. Durante gli anni trascorsi nell’esercito mercenario del padre, Gatsu vive tante esperienze orribili, una in particolar modo, che lo cambiano in peggio e lo rendono un ragazzo apatico e scontroso. Tutto cambia quando, un giorno, incrocia la sua spada con quella di un altro ragazzo della sua stessa età, diverso soprattutto per la chioma bianca scintillante, Grifis, capitano di un gruppo di mercenari conosciuto come l’Armata dei Falchi. Potremmo dire che la saga, per la quasi sua interezza, sia basata sulla dicotomia tra questi due personaggi. Da un lato, Gatsu, l’ultimo arrivato nella Squadra dei Falchi, che riuscirà sin da subito a distinguersi in battaglia, tanto da scalare rapidamente le gerarchie. Seppur diffidente in un primo momento, egli si rende presto conto che l’Armata dei Falchi è diversa da qualsiasi altro gruppo di mercenari in cui abbia mai militato. Qui, fa la conoscenza di persone che arriveranno poi a rappresentare quella famiglia da lui mai avuta e tanto desiderata: Kolcas, Pipin, Judo, Rickert, Caska e Grifis. È grazie soprattutto alla loro sincera amicizia se Gatsu inizia ad aprirsi maggiormente ed apparire più sorridente. Egli si trova a proprio agio tra persone che come lui masticano una sola lingua, quella della guerra, e con loro vive alcuni dei momenti più felici e significativi della propria vita. Tanto basta a Gatsu per essere felice: avere una famiglia e continuare ad impugnare una spada su un campo di battaglia. Dall’altro lato, Grifis, il comandante dell’Armata dei Falchi. Fine stratega e grande conoscitore di tecniche militari, sarà soprattutto grazie alla sua intelligenza ed al suo ingegno se la Squadra dei Falchi arriverà a farsi un nome nelle Midlands. In Gatsu, trova un amico leale e sincero, a cui affidare la propria vita. Grifis, però, a differenza del Guerriero Nero, non si accontenta della propria condizione, perché vuole costantemente migliorarla. Egli ha un sogno: avere un regno tutto suo. E, al fine di coronare questo sogno, è disposto a fare qualsiasi cosa. A questo punto, Miura pone indirettamente al lettore un quesito esistenzialista: ‘cosa sei disposto a sacrificare per raggiungere il tuo sogno? Se il coronamento di quest’ultimo comportasse il sacrificio dei tuoi stessi amici, saresti comunque disposto ad andare avanti oppure avresti la forza e la volontà di fermarti?’. La strada scelta da Grifis, noi lettori di “Berserk”, la conosciamo molto bene, ma se dovessimo trovarci nella sua stessa situazione, come reagiremmo? In questo modo, Miura porta i suoi lettori a porsi delle domande e, soprattutto, a provare dei sentimenti fortissimi verso i protagonisti della storia. Senza ombra di dubbio, l’Eclissi rappresenta l’apice del manga e l’Età dell’Oro la saga più bella e coinvolgente, tant'è che spesso, nel leggere i volumi successivi, mi domandavo se il manga avrebbe mai più raggiunto quei livelli. Quando penso all’Età dell’Oro, un solo sentimento mi pervade: la nostalgia.
Nonostante, per quanto mi riguarda, i picchi dell’Eclisse non siano mai più stati raggiunti nel manga, tutte le saghe successive a quella dell’Età dell’Oro restano di grandissimo impatto e coinvolgimento. L’Armata dei Falchi come la conoscevamo non esiste più e, adesso, ci sono soltanto Gatsu e Caska, i quali intraprendono un lungo viaggio, destinato a concludersi soltanto dopo moltissime avventure e peripezie. Nel corso di questo itinerario, i due fanno la conoscenza di nuovi amici, non soltanto umani, e Gatsu sperimenta una situazione mai provata prima di allora, quella di non dover combattere più soltanto per sé stesso, ma anche per qualcun altro, che lui vuole proteggere ad ogni costo. Questa situazione del tutto nuova è ben rappresentata dall’immagine della spada che, per la prima volta, viene ad assumere un peso maggiore per Gatsu, perché da quella spada non dipende più soltanto la sua vita. Quello compiuto dal Guerriero Nero viene ad assumere i connotati di un autentico viaggio di formazione, durante il quale il gruppo originariamente composto da lui e Caska accoglie nuovi membri: Pack, Isidoro, Shilke, Ibarella, Farnese, Serpico, Roderick, Magnifico e Isma. Al loro fianco, Gatsu diventa un uomo migliore e, grazie alla presenza in particolar modo di Isidoro e Pack, la storia viene ad assumere dei toni più leggeri e comici, utili a spezzare quello cupo originario e distintivo dell’intero manga. Più di ogni altra cosa, a mio modesto avviso, questa parte dell’opera è dedicata ad unico grande tema: l’amore. A dispetto di ciò che si potrebbe pensare, “Berserk” è e sa essere anche un manga romantico, che racconta di una stupenda, seppur travagliata, storia d’amore, fatta di devozione ed incomprensioni, che vede protagonisti Gatsu e Caska. Per lei e soltanto per lei, Gatsu si decide ad intraprendere un lungo viaggio, in apparenza senza meta. Per lei, Gatsu si immola istintivamente contro quei nemici che minacciano la loro sicurezza. Per lei, cerca ed impara ad essere diverso da come era prima, meno scontroso e più comprensivo e maturo. Certo, non sarà la storia d’amore rose e fiori tipica delle romcom, con il finale già scritto ad inizio storia, ma la devozione e il sentimento che animano Gatsu non li ho riscontrati in quasi nessun altro personaggio, che fosse di un anime, un manga o una serie tv.
Un ultimo brevissimo accenno lo merita il tema di Dio, che trova approfondimento in un capitolo scritto da Miura ma mai pubblicato a volume, perché da lui stesso ritenuto troppo ricco di contenuti ed informazioni. Di certo, non mi ritengo all’altezza per trattare un tema così ampio e complesso, ma il modo in cui Miura parla di Dio, avanzando l’idea che egli sia stato creato dall’uomo e che contenga dentro di sé sia il bene che il male, ci fa capire come “Berserk” sia un manga estremamente pregno di filosofia, in particolar modo quella di Nietzsche. La morte di Dio e l’idea della creazione umana della divinità, pur essendo diventate incredibilmente mainstream, sono concetti che mi hanno sempre affascinato, sin dalle superiori. Anche sotto questo punto di vista, almeno con il sottoscritto, Miura ha fatto centro.
Infine, mi sembra doveroso esprimermi sui disegni. Onestamente, una sola parola mi viene in mente per descriverli: perfezione. Ogni tavola è un’opera d’arte, da ammirare e stare a contemplare per minuti. Il tratto di Miura, come quello di Go Nagai a cui chiaramente si ispira, soprattutto in alcune espressioni di Gatsu, è incredibilmente sporco ma, allo stesso tempo, chiaro e preciso. Raramente non sono riuscito a capire qualche tavola e, lo ammetto, in quei casi era solo ed esclusivamente per la mia negligenza e basta. Ho perso il conto delle volte in cui mi sono ritrovato a sgranare gli occhi davanti ad un disegno di Miura, che col passare del tempo e degli anni era riuscito addirittura a perfezionare un tratto già distintivo e sensazionale all’altezza della prima pagina del primo capitolo. “Berserk” non sarebbe stato lo stesso senza i disegni di Miura e, mi duole dirlo, non è e non potrà mai più essere lo stesso dopo la morte del suo creatore, a cui va un profondo grazie, per aver scritto e disegnato una delle storie più complete ed emozionanti in cui mi sia mai imbattuto.
Arrivato alla fine di questa recensione, mi rendo conto di aver scritto e detto tanto, ma non tutto, questo è certo. Di “Berserk”, potrei stare a parlare per giorni, senza stancarmi mai ed anzi trovando sempre qualcosa di nuovo di cui discutere. Perché, a differenza di ciò che molti sostengono, “Berserk” è tutto bello, fatta eccezione per qualche rallentamento intorno al volume 33-34. D’altronde, però, se il suo stesso creatore aveva cominciato ad avere delle difficoltà, un motivo ci dovrà pur essere stato. A questo punto, almeno per il sottoscritto, resta un solo grande nodo da sciogliere, quello del voto, che però, alla fine, è e resta solamente un numero. Come sempre, conta molto di più ciò che un’opera trasmette e “Berserk” è riuscito a farmi sperimentare, in circa quaranta volumi, quasi tutto il ventaglio vastissimo delle emozioni umane.
Grazie di tutto sensei, per aver creato una storia e dei personaggi immortali, destinati a rimanere nei cuori di tantissimi lettori in tutto il mondo.