Recensione
Shaman King
8.5/10
“Voglio solo ascoltare tutto il giorno la musica che mi piace e vivere tranquillo, senza pensieri. Non desidero niente di più.”
“Shaman King” di Hiroyuki Takei è un manga che ha vissuto una complessa esistenza editoriale. Serializzato sulla rivista Weekly Shōnen Jump in Giappone, il manga conta originariamente 289 capitoli raccolti in 32 volumi, ma questa prima edizione presenta un grosso problema: un finale arraffazzonato e scritto di tutta fretta, che all’epoca poco piacque agli appassionati lettori di “Shaman King”. Così, nel 2008, il manga è stato ristampato in Giappone nella versione kanzenban, in cui Takei ha riveduto e corretto numerose tavole e ha disegnato 16 capitoli aggiuntivi che costituiscono un nuovo e più completo finale dell'opera, con l’aggiunta di un breve racconto conclusivo chiamato “Le Terme di Funbari”. In totale, sono stati divulgati 27 nuovi volumi, pubblicati sul mercato da marzo 2008 ad aprile 2009 a cadenza bisettimanale, editi in Italia dalla Star Comics, che ha dato alla ristampa il nome di Perfect Edition. Ed è proprio a partire da questa edizione rivista e più completa, che si basa il mio giudizio su “Shaman King” di Hiroyuki Takei.
Discendente di un’antichissima famiglia di sciamani, Yoh Asakura – nato il 12 maggio e del segno zodiacale del Toro, come il sottoscritto – possiede l’abilità di vedere gli spiriti. Pur desiderando una vita tranquilla, il ragazzo parteciperà allo Shaman Fight, un torneo tra sciamani che ha luogo ogni 500 anni con lo scopo di eleggere lo Shaman King, colui che, unendosi al Grande Spirito, trasformerà la grande distruzione del mondo in una grande rigenerazione. Nel corso del suo viaggio, Yoh stingerà nuove amicizie e legami forti, tanto con gli esseri umani che con gli spiriti, e imparerà ad affrontare a testa alta i problemi che la vita di tutti i giorni gli pone dinanzi.
Ciò che, in prima istanza, mi ha colpito di “Shaman King” è stato indubbiamente lo stile di disegno di Hiroyuki Takei. Col suo tratto pulito, il mangaka mi ha sin da subito trasmesso una certa serenità, tradita soltanto nel corso dei combattimenti che, a dirla tutta, e questo potrebbe sembrare un paradosso parlando di un battle shounen, non sono il fulcro della storia, ben più profonda e complessa. Takei non eccelle nella realizzazione degli scontri tra sciamani, ma ciò che accade sulla tavola non è mai incomprensibile, tutt’al più richiede uno sforzo maggiore per essere capito, il che resta comunque un difetto. D’altro canto, ho apprezzato immediatamente la capacità sublime di Takei nel comporre le tavole, anche quelle piene di balloon, che caratterizzano in particolar modo i primi volumi del manga. Le tavole di Takei respirano e, di conseguenza, lasciano respirare il lettore, e questa è una qualità che il mangaka, a mio modesto avviso, è addirittura riuscito a migliorare con il tempo. A questo, bisogna aggiungere le tante pagine a colori presenti nella Perfect Edition, che rappresentano un abbellimento molto gradito alle tavole in bianco e nero del manga.
Passando alla storia, mi sembra lampante il debito di Takei nei confronti di Hirohiko Araki e Akira Toriyama. Gli spiriti presenti in “Shaman King” ricordano chiaramente gli Stand presenti ne “Le bizzarre avventure di Jojo”; mentre l’idea del torneo necessario per eleggere il nuovo re degli sciamani deve tutto a “Dragon Ball”, che con il suo Torneo Tenkaichi – Torneo di Arti Marziali per gli amanti della versione animata del capolavoro di Toriyama – ha creato un precedente senza eguali, un autentico spartiacque nel piccolo grande universo dei battle shounen. Questi due elementi si combinano all’interno di una storia che ha il suo fulcro nella lotta tra bene e male, amore e odio, ponendo, allo stesso tempo, il lettore dinanzi ad un dubbio esistenziale: cosa sono il bene e il male? Come accade a Vash the Stampede, protagonista di “Trigun”, anche Yoh Asakura si domanda spesso cosa si debba intendere per bene e male, senza mai riuscire a trovare una risposta. In nome di ciò, quindi, Yoh arriva a porsi anche un altro dilemma: come stabilire se qualcuno, un essere umano o uno sciamano qualsiasi, sia meritevole della morte? Ovviamente, siamo di fronte ad un altro quesito senza risposta, perché di certo gli umani, così come gli sciamani, non sono nelle condizioni di poter giudicare i propri simili. Sulla base di quanto appena detto, diventa facile capire che Yoh è un sostenitore della pace, di quella pace che gli permetterebbe di ascoltare la musica che gli piace tutto il giorno e vivere in tranquillità. Eppure, per realizzare la pace, bisogna prima fare la guerra, in altre parole, sarà obbligatorio partecipare allo Shaman Fight, il torneo che permetterà di eleggere il futuro Shaman King, titolo a cui tutti gli sciamani ambiscono.
Ovviamente, il torneo è l’espediente che permette a Yoh di fare nuove conoscenze e stringere altrettanti legami. Nominare tutti gli amici che Yoh si fa nel corso del suo viaggio sarebbe pura follia, per questo ne cito solo uno, quello che più di tutti mi è entrato nel cuore – posto che ogni personaggio gode del proprio approfondimento flashback che permette al lettore di empatizzare e simpatizzare con esso –, ovvero Ryunosuke Umemiya, anche detto “Spada di Legno” Ryu. Lui è il classico teppista presente in molti manga scritti negli anni ’90, a cui non daresti un soldo e che, almeno all’inizio, si pone in contrapposizione netta con il protagonista, salvo poi diventarne un grande amico. Ryu è quel personaggio a cui ti affezioni in poco tempo, perché tutti noi, soprattutto i più giovani, ci rispecchiamo in questo ragazzo alla costante ricerca del suo “posto perfetto”, questo luogo che non necessita di avere sostanza fisica, bensì emotiva. Ryu è alla ricerca di un posto che egli possa chiamare casa e, alla fine, lo trova in Yoh e negli altri, ragazzi come lui, con i loro pregi e i loro difetti, disposti a tutto pur di difendere i propri amici e tendergli una mano nel momento del bisogno. Tutti noi, ognuno a modo proprio, siamo alla ricerca del nostro “posto perfetto” e la storia di Ryu ci insegna che questa è un’impresa tutt’altro che impossibile.
Inizio parte spoiler
Il finale dell’opera merita un discorso a parte. Detto sinceramente, leggendo i volumi finali di “Shaman King”, almeno io, mi sono reso conto che qualcosa non andava, che la conclusione dell’opera avrebbe dovuto essere un’altra. Takei, ad un certo punto della sua storia, ha dovuto fare i conti con l’enorme elefante nella stanza di nome Hao Asakura, il villain di “Shaman King”. Takei, riprendendo una dinamica tipica di “Dragon Ball” e di tanti altri manga venuti dopo, come “The Seven Deadly Sins”, si diverte nel rivelare i livelli di potenza dei protagonisti, che si aggirano tutti intorno a cifre a quattro o cinque zeri, tranne quello di Hao, che si fregia di un bel numero a sei zeri. Molto presto, dunque, nel corso della lettura, sorge spontaneo il dubbio di come Yoh, il protagonista indiscusso della storia, possa riuscire a sconfiggere Hao e diventare così “Shaman King”. Questo dubbio resta tale per diverso tempo, fino a quando il lettore capisce che un modo per abbattere Hao non esiste, perché il mero scontro fisico porterebbe ad una disfatta totale. Quindi, Takei la butta sul piano del confronto tra spiriti, tra anime e, in definitiva, opta per il più ignavo dei finali, quello a “tarallucci e vino”, che non è certamente da disprezzare, ma neanche da lodare.
A conti fatti, mi sento di dire che il finale è il grande difetto di “Shaman King”, a cui mi resta da fare un’ultima critica: l’abuso incontrollato, da un certo punto della storia in avanti, della dinamica della resurrezione, anche questa ripresa da “Dragon Ball”. Quando sai che ogni personaggio che muore potrà essere resuscitato, per poi tornare più forte di prima, si perde quel pathos che, di fatto, manca quasi completamente nell’opera di Takei.
Fine parte spoiler
In conclusione, ritengo “Shaman King” un manga estremamente piacevole da leggere, in cui ho riscontrato delle trovate a dir poco geniali, un world building ben congeniato e una storia certamente incentrata sulle mazzate ma che ha anche molto altro da dire. Un manga che, a mio parere, vive di tanti momenti alti ed indimenticabili, seppur abbia lasciato qualche pezzo per strada, ma che infine riesce ad imprimersi nel cuore di ogni suo lettore.
“Shaman King” di Hiroyuki Takei è un manga che ha vissuto una complessa esistenza editoriale. Serializzato sulla rivista Weekly Shōnen Jump in Giappone, il manga conta originariamente 289 capitoli raccolti in 32 volumi, ma questa prima edizione presenta un grosso problema: un finale arraffazzonato e scritto di tutta fretta, che all’epoca poco piacque agli appassionati lettori di “Shaman King”. Così, nel 2008, il manga è stato ristampato in Giappone nella versione kanzenban, in cui Takei ha riveduto e corretto numerose tavole e ha disegnato 16 capitoli aggiuntivi che costituiscono un nuovo e più completo finale dell'opera, con l’aggiunta di un breve racconto conclusivo chiamato “Le Terme di Funbari”. In totale, sono stati divulgati 27 nuovi volumi, pubblicati sul mercato da marzo 2008 ad aprile 2009 a cadenza bisettimanale, editi in Italia dalla Star Comics, che ha dato alla ristampa il nome di Perfect Edition. Ed è proprio a partire da questa edizione rivista e più completa, che si basa il mio giudizio su “Shaman King” di Hiroyuki Takei.
Discendente di un’antichissima famiglia di sciamani, Yoh Asakura – nato il 12 maggio e del segno zodiacale del Toro, come il sottoscritto – possiede l’abilità di vedere gli spiriti. Pur desiderando una vita tranquilla, il ragazzo parteciperà allo Shaman Fight, un torneo tra sciamani che ha luogo ogni 500 anni con lo scopo di eleggere lo Shaman King, colui che, unendosi al Grande Spirito, trasformerà la grande distruzione del mondo in una grande rigenerazione. Nel corso del suo viaggio, Yoh stingerà nuove amicizie e legami forti, tanto con gli esseri umani che con gli spiriti, e imparerà ad affrontare a testa alta i problemi che la vita di tutti i giorni gli pone dinanzi.
Ciò che, in prima istanza, mi ha colpito di “Shaman King” è stato indubbiamente lo stile di disegno di Hiroyuki Takei. Col suo tratto pulito, il mangaka mi ha sin da subito trasmesso una certa serenità, tradita soltanto nel corso dei combattimenti che, a dirla tutta, e questo potrebbe sembrare un paradosso parlando di un battle shounen, non sono il fulcro della storia, ben più profonda e complessa. Takei non eccelle nella realizzazione degli scontri tra sciamani, ma ciò che accade sulla tavola non è mai incomprensibile, tutt’al più richiede uno sforzo maggiore per essere capito, il che resta comunque un difetto. D’altro canto, ho apprezzato immediatamente la capacità sublime di Takei nel comporre le tavole, anche quelle piene di balloon, che caratterizzano in particolar modo i primi volumi del manga. Le tavole di Takei respirano e, di conseguenza, lasciano respirare il lettore, e questa è una qualità che il mangaka, a mio modesto avviso, è addirittura riuscito a migliorare con il tempo. A questo, bisogna aggiungere le tante pagine a colori presenti nella Perfect Edition, che rappresentano un abbellimento molto gradito alle tavole in bianco e nero del manga.
Passando alla storia, mi sembra lampante il debito di Takei nei confronti di Hirohiko Araki e Akira Toriyama. Gli spiriti presenti in “Shaman King” ricordano chiaramente gli Stand presenti ne “Le bizzarre avventure di Jojo”; mentre l’idea del torneo necessario per eleggere il nuovo re degli sciamani deve tutto a “Dragon Ball”, che con il suo Torneo Tenkaichi – Torneo di Arti Marziali per gli amanti della versione animata del capolavoro di Toriyama – ha creato un precedente senza eguali, un autentico spartiacque nel piccolo grande universo dei battle shounen. Questi due elementi si combinano all’interno di una storia che ha il suo fulcro nella lotta tra bene e male, amore e odio, ponendo, allo stesso tempo, il lettore dinanzi ad un dubbio esistenziale: cosa sono il bene e il male? Come accade a Vash the Stampede, protagonista di “Trigun”, anche Yoh Asakura si domanda spesso cosa si debba intendere per bene e male, senza mai riuscire a trovare una risposta. In nome di ciò, quindi, Yoh arriva a porsi anche un altro dilemma: come stabilire se qualcuno, un essere umano o uno sciamano qualsiasi, sia meritevole della morte? Ovviamente, siamo di fronte ad un altro quesito senza risposta, perché di certo gli umani, così come gli sciamani, non sono nelle condizioni di poter giudicare i propri simili. Sulla base di quanto appena detto, diventa facile capire che Yoh è un sostenitore della pace, di quella pace che gli permetterebbe di ascoltare la musica che gli piace tutto il giorno e vivere in tranquillità. Eppure, per realizzare la pace, bisogna prima fare la guerra, in altre parole, sarà obbligatorio partecipare allo Shaman Fight, il torneo che permetterà di eleggere il futuro Shaman King, titolo a cui tutti gli sciamani ambiscono.
Ovviamente, il torneo è l’espediente che permette a Yoh di fare nuove conoscenze e stringere altrettanti legami. Nominare tutti gli amici che Yoh si fa nel corso del suo viaggio sarebbe pura follia, per questo ne cito solo uno, quello che più di tutti mi è entrato nel cuore – posto che ogni personaggio gode del proprio approfondimento flashback che permette al lettore di empatizzare e simpatizzare con esso –, ovvero Ryunosuke Umemiya, anche detto “Spada di Legno” Ryu. Lui è il classico teppista presente in molti manga scritti negli anni ’90, a cui non daresti un soldo e che, almeno all’inizio, si pone in contrapposizione netta con il protagonista, salvo poi diventarne un grande amico. Ryu è quel personaggio a cui ti affezioni in poco tempo, perché tutti noi, soprattutto i più giovani, ci rispecchiamo in questo ragazzo alla costante ricerca del suo “posto perfetto”, questo luogo che non necessita di avere sostanza fisica, bensì emotiva. Ryu è alla ricerca di un posto che egli possa chiamare casa e, alla fine, lo trova in Yoh e negli altri, ragazzi come lui, con i loro pregi e i loro difetti, disposti a tutto pur di difendere i propri amici e tendergli una mano nel momento del bisogno. Tutti noi, ognuno a modo proprio, siamo alla ricerca del nostro “posto perfetto” e la storia di Ryu ci insegna che questa è un’impresa tutt’altro che impossibile.
Inizio parte spoiler
Il finale dell’opera merita un discorso a parte. Detto sinceramente, leggendo i volumi finali di “Shaman King”, almeno io, mi sono reso conto che qualcosa non andava, che la conclusione dell’opera avrebbe dovuto essere un’altra. Takei, ad un certo punto della sua storia, ha dovuto fare i conti con l’enorme elefante nella stanza di nome Hao Asakura, il villain di “Shaman King”. Takei, riprendendo una dinamica tipica di “Dragon Ball” e di tanti altri manga venuti dopo, come “The Seven Deadly Sins”, si diverte nel rivelare i livelli di potenza dei protagonisti, che si aggirano tutti intorno a cifre a quattro o cinque zeri, tranne quello di Hao, che si fregia di un bel numero a sei zeri. Molto presto, dunque, nel corso della lettura, sorge spontaneo il dubbio di come Yoh, il protagonista indiscusso della storia, possa riuscire a sconfiggere Hao e diventare così “Shaman King”. Questo dubbio resta tale per diverso tempo, fino a quando il lettore capisce che un modo per abbattere Hao non esiste, perché il mero scontro fisico porterebbe ad una disfatta totale. Quindi, Takei la butta sul piano del confronto tra spiriti, tra anime e, in definitiva, opta per il più ignavo dei finali, quello a “tarallucci e vino”, che non è certamente da disprezzare, ma neanche da lodare.
A conti fatti, mi sento di dire che il finale è il grande difetto di “Shaman King”, a cui mi resta da fare un’ultima critica: l’abuso incontrollato, da un certo punto della storia in avanti, della dinamica della resurrezione, anche questa ripresa da “Dragon Ball”. Quando sai che ogni personaggio che muore potrà essere resuscitato, per poi tornare più forte di prima, si perde quel pathos che, di fatto, manca quasi completamente nell’opera di Takei.
Fine parte spoiler
In conclusione, ritengo “Shaman King” un manga estremamente piacevole da leggere, in cui ho riscontrato delle trovate a dir poco geniali, un world building ben congeniato e una storia certamente incentrata sulle mazzate ma che ha anche molto altro da dire. Un manga che, a mio parere, vive di tanti momenti alti ed indimenticabili, seppur abbia lasciato qualche pezzo per strada, ma che infine riesce ad imprimersi nel cuore di ogni suo lettore.