Recensione
Nana
9.5/10
Chi guarda anime e legge manga, come me e voi, lo fa con uno scopo ben preciso: avere il famigerato colpo di fulmine. Prendete il sottoscritto, ad esempio. Da diverso tempo, ormai, mi trovo in un loop continuo in cui ogni settimana porto a termine la visione di un anime e, se il numero dei volumi lo consente, ogni mese finisco la lettura di un manga. Nonostante le numerose cose che vedo e leggo, un po’ per fortuna un po’ perché, conoscendo i miei gusti, so scegliere discretamente bene, non mi capita quasi mai di rimanere completamente deluso da un’opera o, addirittura, di lasciare a metà una visione o una lettura. Il più delle volte resto soddisfatto dalle mie scelte, talvolta anche più del previsto, posto che sono un tipo dai gusti variegati e a cui difficilmente non piace qualcosa. Raramente, però, un’opera riesce a entrarmi nelle ossa e nelle viscere, innescando quella reazione a catena che mi porta a voler scoprire tutto di essa, vedere tutte le serie e i live action prodotti e leggere i manga e le novel pubblicate sul mercato. Così fu, tanti anni fa, quando uno dei miei più cari amici mi consigliò di iniziare “Steins;Gate” oppure quando presi la grande decisione di gettarmi nella lettura totalizzante di “Slam Dunk”, e così è stato quando, qualche giorno fa, ho portato a termine la visione dell’anime di “Nana”, che mai avrei creduto potesse avere un impatto di tale portata sul sottoscritto.
“Nana” è una serie animata composta da quarantasette episodi, prodotta da Madhouse e diretta da Morio Asaka. Tratto dal celebre, nonché omonimo, manga incompiuto di Ai Yazawa, l’anime è andato in onda in Giappone su Nippon Television tra l'aprile 2006 e il marzo 2007. La serie animata è trasposta in modo da essere quasi completamente identica alla storia originale e riprende fino al volume dodici del fumetto, senza fare uso di filler. Una seconda serie avrebbe dovuto essere trasmessa in televisione, adattando i volumi rimanenti, ma non esistendo un finale alla storia narrata nel manga, ormai sempre più lontano dal ricevere una degna conclusione, è altamente probabile che di questa nuova serie non se ne farà mai nulla.
La storia, ambientata nel Giappone contemporaneo, segue le vicende di due ragazze ventenni o quasi, Nana Komatsu e Nana Osaki, accomunate dallo stesso nome, che in giapponese significa sette, e dalla medesima decisione di trasferirsi a Tokyo. La diciannovenne Nana Komatsu, una di quelle persone innamorate dell’amore, lavora in un video-nolo nella sua città d’origine e ha una storia a distanza con Shoji, che si è trasferito a Tokyo per studiare all'università. Nana Osaki è, invece, una cantante punk rock e, finora, ha militato in una band chiamata Blast, dove ha conosciuto il ragazzo di cui si è poi innamorata: Ren Honjo. Per la stessa ragione, ovvero cambiare la propria vita, le due ragazze salgono in una notte di neve su un treno diretto a Tokyo, dove faranno la conoscenza l’una dell’altra, dando inconsapevolmente vita a un’amicizia destinata a cambiare per sempre le loro vite.
L’enorme merito della Yazawa, riconosciuto dalla stragrande maggioranza dei suoi fan, sta nell’aver delineato dei personaggi estremamente realistici e variegati, che nell’approcciarsi alla vita di tutti i giorni devono fronteggiare problemi di ogni sorta e fare i conti con i propri sentimenti incostanti, perché, a conti fatti, “Nana” è pur sempre un anime che parla di un gruppo di adolescenti. A fare da contraltare a questo realismo, c’è la situazione in cui i personaggi vengono a collocarsi, che trova raramente riscontro nella realtà: immaginatevi, per esempio, quanto possa essere improbabile che due ragazze della stessa età e con lo stesso nome, dopo essersi incontrate per puro caso su un treno, finiscano con il condividere il medesimo appartamento. La Yazawa, mescolando con grande maestria realtà e fantasia, crea una (sur)realtà eterogenea che si tinge di colori vivaci e altri cupi, in cui a spiccare sono ovviamente le due protagoniste.
Nana Komatsu è una casinista per natura, una di quelle persone con cui è impossibile annoiarsi. Nana, che viene poi soprannominata dall’amica e coinquilina “Hachiko” (come il famoso e fedele animale a quattro zampe), perché proprio come i cani anche lei ha bisogno di amore incondizionato e continue attenzioni, è come una bambina capricciosa a cui devi dare tutto ciò che vuole, altrimenti mette il broncio. Proprio come i bambini, però, finisce col gettare via tutti i giocattoli che le vengono regalati, quasi come se provasse un’insoddisfazione cronica, infatti è solita passare da un ragazzo all’altro senza farsi alcuno scrupolo. Tutte le sue relazioni sono state effimere, ma in un certo qual senso hanno lasciato qualcosa dentro di lei, pur senza insegnarle nulla, perché ciclicamente commette sempre gli stessi errori e non riesce a far durare nessun rapporto, a meno che non sia di pura e semplice amicizia, vedasi quella duratura che la lega a Junko. Hachi è una ragazza che, fin troppo frequentemente, si lascia trasportare dagli eventi, finendone poi in balia. Dall’esterno, potrà sembrare un essere deprecabile, una ragazza dai facili costumi che la dà a vista, ma in realtà Hachi è l’emblema di tutte quelle ragazze che credono di poter colmare il vuoto che sentono dentro di sé solo e unicamente con l’amore, di cui sono alla costante ricerca, pur senza trovarlo mai, e che, quando per pura magia lo trovano, se lo lasciano anche sfuggire, perché incapaci il più delle volte di prendere la decisione giusta. Hachi, con tutti i suoi difetti e, ovviamente, i suoi pregi - allegria, gentilezza, affabilità - è probabilmente il più umano dei personaggi dell’opera.
Nana Osaki è una ragazza dal passato difficile, di cui infatti non parla mai volentieri, e su cui aleggia sin dal primo episodio un alone di mistero. Come si apprende nei primi episodi dell’anime, Nana non ha mai conosciuto suo padre e sua madre l’ha abbandonata quando aveva quattro anni. Questo rappresenta un grande trauma per la ragazza, che sembra soffrire di un’acuta sindrome dell’abbandono: quando qualcuno a cui lei tiene si allontana improvvisamente, Nana soffre, si chiude in sé stessa e non sa più come agire. Per il resto, quando è in compagnia dei suoi amici, Nana appare come una ragazza socievole e carismatica, qualità necessaria a chi, come lei, vuole affermarsi nel mondo della musica come vocalist di una band rock punk di successo. Nonostante sembri, o meglio, cerchi di apparire fredda e distaccata e per quanto sia estremamente possessiva nei confronti delle persone che ama, Nana ha un cuore buono ma al contempo molto fragile, che più volte finisce in frantumi, costringendola poi a raccogliere i pezzi che ne restano. Nella band, Nana trova la famiglia che non ha mai avuto, in Hachi, invece, la migliore amica che ha sempre cercato ma senza successo. Per quanto la prenda continuamente in giro e le appioppi quel soprannome molto evocativo, Nana vuole sinceramente bene ad Hachi e, presto, tra le due viene a crearsi un autentico rapporto di co-dipendenza, in un certo senso simile a quello che lega due persone profondamente innamorate l’una dell’altra. Perché, in fin dei conti, quello che lega le due amiche e coinquiline è amore nella sua forma più pura, un amore che neanche il tempo potrà mai scalfire.
Oltre a Nana e ad Hachi, che sono i due pilastri sui cui si regge l’intera serie, c’è un ventaglio variopinto di personaggi che si differenziano per carattere, attitudine e aspetto fisico, pur tutti accomunati dal medesimo, profondo e in alcuni casi sopito senso di sofferenza, che più che mai nell’opera della Yazawa appare come la condizione esistenziale dei giovani. Tra tutti i personaggi dell’anime, fatta eccezione per le due protagoniste, secondo me, ad emergere è il batterista nonché fondatore dei Blast, Yasushi "Yasu" Takagi. Per i ragazzi della band è come una sorta di padre amorevole che si prende cura di loro, per Ren - l’ex bassista dei Blast - è un amico leale a cui confidare i propri dubbi, e per chiunque lo conosca per la prima volta è una persona su cui fare cieco affidamento, perché a dispetto delle apparenze Yasu è qualcuno di cui tutti hanno un’altissima stima. Insomma, Yasu è l’amico che tutti noi vorremmo avere e il mio affetto nei suoi confronti nasce sicuramente dal fatto che, in tempi ormai lontani, credo - e lo dico senza presunzione - di aver vestito i suoi panni, quello della spalla sui cui far piangere i propri amici, a costo di mettere da parte i propri turbamenti. Per la serietà e il savoir-faire con cui affronta ogni situazione e la sua presenza silenziosa ma costante nella vita scapestrata dei suoi amici, Yasu è senz’ombra di dubbio il mio personaggio preferito dell’intera serie.
Nana, Hachi, Yasu, Ren, Shin, Nobu, Shoji, Junko, Ryosuke, Takumi, Reira, Naoki e gli altri comprimari, con le loro trame e sotto-trame, sono tutti in egual modo protagonisti di “Nana”, che si propone come un semplice slice of life, in cui emergono due macro-temi: la musica e l’amore. Aggiungere altro sulla storia in sé e sui temi che tratta sarebbe superfluo, anche perché la mia impressione è che “Nana” non sia tanto un’opera che vuole insegnare qualcosa a chi la guarda, ma piuttosto una serie che nasce per il puro gusto di intrattenere e, detto onestamente, ci riesce egregiamente bene. Ogni episodio trascorre in un battito di ciglia, le puntate vengono depennate dalla loro lista a gruppi di cinque o sei - per la prima volta da diverso tempo mi sono ritrovato a guardare nove episodi dello stesso anime in un giorno - e, ad un certo punto, lo spettatore finisce con l’essere completamente travolto dal treno delle emozioni. Ecco, “Nana” è un anime che parla di sentimenti umani, talvolta anche esagerando nel farli esternare ai personaggi, ma lo fa con enorme realismo e tatto. Questo è il grande pregio dell’opera della Yazawa, che è ormai entrata nel mio cuore e difficilmente ne uscirà.
Sul finale tanto discusso e bistrattato c’è ben poco da dire, perché è evidente che l’episodio 47 nasca in origine per essere posto a conclusione della prima serie di “Nana”, che ne avrebbe dovuta poi avere una seconda, con tanto di finale vero e proprio, che mai vedrà la luce. Preso come tale, dunque, mi sento anche di dire che l’anime ha un ottimo finale, che lascia enorme suspense per il prosieguo, ma siccome un continuo vero e proprio non esiste, l’ultimo episodio lascia un amaro in bocca che neanche la più dolce delle cioccolate riesce a lenire.
Le ultime parole vorrei spenderle per il comparto musicale, più che per quello grafico - minimal, curato e fedele al manga che ho iniziato da poco. Tanto le opening quanto le ending sono di altissimo livello, merito delle voci stupende di Anna Tsuchiya (Nana) e Olivia (Reira). In particolar modo la prima mi ha impressionato per il suo timbro unico, a maggior ragione per una cantante giapponese. La mia preferenza, più che a “rose”, ovvero la prima intro, va a “LUCY”, che ancora oggi non riesco a togliermi dalle orecchie.
In conclusione, vedetevi “Nana” e soffrite quando arriverete al (non) finale.
“Nana” è una serie animata composta da quarantasette episodi, prodotta da Madhouse e diretta da Morio Asaka. Tratto dal celebre, nonché omonimo, manga incompiuto di Ai Yazawa, l’anime è andato in onda in Giappone su Nippon Television tra l'aprile 2006 e il marzo 2007. La serie animata è trasposta in modo da essere quasi completamente identica alla storia originale e riprende fino al volume dodici del fumetto, senza fare uso di filler. Una seconda serie avrebbe dovuto essere trasmessa in televisione, adattando i volumi rimanenti, ma non esistendo un finale alla storia narrata nel manga, ormai sempre più lontano dal ricevere una degna conclusione, è altamente probabile che di questa nuova serie non se ne farà mai nulla.
La storia, ambientata nel Giappone contemporaneo, segue le vicende di due ragazze ventenni o quasi, Nana Komatsu e Nana Osaki, accomunate dallo stesso nome, che in giapponese significa sette, e dalla medesima decisione di trasferirsi a Tokyo. La diciannovenne Nana Komatsu, una di quelle persone innamorate dell’amore, lavora in un video-nolo nella sua città d’origine e ha una storia a distanza con Shoji, che si è trasferito a Tokyo per studiare all'università. Nana Osaki è, invece, una cantante punk rock e, finora, ha militato in una band chiamata Blast, dove ha conosciuto il ragazzo di cui si è poi innamorata: Ren Honjo. Per la stessa ragione, ovvero cambiare la propria vita, le due ragazze salgono in una notte di neve su un treno diretto a Tokyo, dove faranno la conoscenza l’una dell’altra, dando inconsapevolmente vita a un’amicizia destinata a cambiare per sempre le loro vite.
L’enorme merito della Yazawa, riconosciuto dalla stragrande maggioranza dei suoi fan, sta nell’aver delineato dei personaggi estremamente realistici e variegati, che nell’approcciarsi alla vita di tutti i giorni devono fronteggiare problemi di ogni sorta e fare i conti con i propri sentimenti incostanti, perché, a conti fatti, “Nana” è pur sempre un anime che parla di un gruppo di adolescenti. A fare da contraltare a questo realismo, c’è la situazione in cui i personaggi vengono a collocarsi, che trova raramente riscontro nella realtà: immaginatevi, per esempio, quanto possa essere improbabile che due ragazze della stessa età e con lo stesso nome, dopo essersi incontrate per puro caso su un treno, finiscano con il condividere il medesimo appartamento. La Yazawa, mescolando con grande maestria realtà e fantasia, crea una (sur)realtà eterogenea che si tinge di colori vivaci e altri cupi, in cui a spiccare sono ovviamente le due protagoniste.
Nana Komatsu è una casinista per natura, una di quelle persone con cui è impossibile annoiarsi. Nana, che viene poi soprannominata dall’amica e coinquilina “Hachiko” (come il famoso e fedele animale a quattro zampe), perché proprio come i cani anche lei ha bisogno di amore incondizionato e continue attenzioni, è come una bambina capricciosa a cui devi dare tutto ciò che vuole, altrimenti mette il broncio. Proprio come i bambini, però, finisce col gettare via tutti i giocattoli che le vengono regalati, quasi come se provasse un’insoddisfazione cronica, infatti è solita passare da un ragazzo all’altro senza farsi alcuno scrupolo. Tutte le sue relazioni sono state effimere, ma in un certo qual senso hanno lasciato qualcosa dentro di lei, pur senza insegnarle nulla, perché ciclicamente commette sempre gli stessi errori e non riesce a far durare nessun rapporto, a meno che non sia di pura e semplice amicizia, vedasi quella duratura che la lega a Junko. Hachi è una ragazza che, fin troppo frequentemente, si lascia trasportare dagli eventi, finendone poi in balia. Dall’esterno, potrà sembrare un essere deprecabile, una ragazza dai facili costumi che la dà a vista, ma in realtà Hachi è l’emblema di tutte quelle ragazze che credono di poter colmare il vuoto che sentono dentro di sé solo e unicamente con l’amore, di cui sono alla costante ricerca, pur senza trovarlo mai, e che, quando per pura magia lo trovano, se lo lasciano anche sfuggire, perché incapaci il più delle volte di prendere la decisione giusta. Hachi, con tutti i suoi difetti e, ovviamente, i suoi pregi - allegria, gentilezza, affabilità - è probabilmente il più umano dei personaggi dell’opera.
Nana Osaki è una ragazza dal passato difficile, di cui infatti non parla mai volentieri, e su cui aleggia sin dal primo episodio un alone di mistero. Come si apprende nei primi episodi dell’anime, Nana non ha mai conosciuto suo padre e sua madre l’ha abbandonata quando aveva quattro anni. Questo rappresenta un grande trauma per la ragazza, che sembra soffrire di un’acuta sindrome dell’abbandono: quando qualcuno a cui lei tiene si allontana improvvisamente, Nana soffre, si chiude in sé stessa e non sa più come agire. Per il resto, quando è in compagnia dei suoi amici, Nana appare come una ragazza socievole e carismatica, qualità necessaria a chi, come lei, vuole affermarsi nel mondo della musica come vocalist di una band rock punk di successo. Nonostante sembri, o meglio, cerchi di apparire fredda e distaccata e per quanto sia estremamente possessiva nei confronti delle persone che ama, Nana ha un cuore buono ma al contempo molto fragile, che più volte finisce in frantumi, costringendola poi a raccogliere i pezzi che ne restano. Nella band, Nana trova la famiglia che non ha mai avuto, in Hachi, invece, la migliore amica che ha sempre cercato ma senza successo. Per quanto la prenda continuamente in giro e le appioppi quel soprannome molto evocativo, Nana vuole sinceramente bene ad Hachi e, presto, tra le due viene a crearsi un autentico rapporto di co-dipendenza, in un certo senso simile a quello che lega due persone profondamente innamorate l’una dell’altra. Perché, in fin dei conti, quello che lega le due amiche e coinquiline è amore nella sua forma più pura, un amore che neanche il tempo potrà mai scalfire.
Oltre a Nana e ad Hachi, che sono i due pilastri sui cui si regge l’intera serie, c’è un ventaglio variopinto di personaggi che si differenziano per carattere, attitudine e aspetto fisico, pur tutti accomunati dal medesimo, profondo e in alcuni casi sopito senso di sofferenza, che più che mai nell’opera della Yazawa appare come la condizione esistenziale dei giovani. Tra tutti i personaggi dell’anime, fatta eccezione per le due protagoniste, secondo me, ad emergere è il batterista nonché fondatore dei Blast, Yasushi "Yasu" Takagi. Per i ragazzi della band è come una sorta di padre amorevole che si prende cura di loro, per Ren - l’ex bassista dei Blast - è un amico leale a cui confidare i propri dubbi, e per chiunque lo conosca per la prima volta è una persona su cui fare cieco affidamento, perché a dispetto delle apparenze Yasu è qualcuno di cui tutti hanno un’altissima stima. Insomma, Yasu è l’amico che tutti noi vorremmo avere e il mio affetto nei suoi confronti nasce sicuramente dal fatto che, in tempi ormai lontani, credo - e lo dico senza presunzione - di aver vestito i suoi panni, quello della spalla sui cui far piangere i propri amici, a costo di mettere da parte i propri turbamenti. Per la serietà e il savoir-faire con cui affronta ogni situazione e la sua presenza silenziosa ma costante nella vita scapestrata dei suoi amici, Yasu è senz’ombra di dubbio il mio personaggio preferito dell’intera serie.
Nana, Hachi, Yasu, Ren, Shin, Nobu, Shoji, Junko, Ryosuke, Takumi, Reira, Naoki e gli altri comprimari, con le loro trame e sotto-trame, sono tutti in egual modo protagonisti di “Nana”, che si propone come un semplice slice of life, in cui emergono due macro-temi: la musica e l’amore. Aggiungere altro sulla storia in sé e sui temi che tratta sarebbe superfluo, anche perché la mia impressione è che “Nana” non sia tanto un’opera che vuole insegnare qualcosa a chi la guarda, ma piuttosto una serie che nasce per il puro gusto di intrattenere e, detto onestamente, ci riesce egregiamente bene. Ogni episodio trascorre in un battito di ciglia, le puntate vengono depennate dalla loro lista a gruppi di cinque o sei - per la prima volta da diverso tempo mi sono ritrovato a guardare nove episodi dello stesso anime in un giorno - e, ad un certo punto, lo spettatore finisce con l’essere completamente travolto dal treno delle emozioni. Ecco, “Nana” è un anime che parla di sentimenti umani, talvolta anche esagerando nel farli esternare ai personaggi, ma lo fa con enorme realismo e tatto. Questo è il grande pregio dell’opera della Yazawa, che è ormai entrata nel mio cuore e difficilmente ne uscirà.
Sul finale tanto discusso e bistrattato c’è ben poco da dire, perché è evidente che l’episodio 47 nasca in origine per essere posto a conclusione della prima serie di “Nana”, che ne avrebbe dovuta poi avere una seconda, con tanto di finale vero e proprio, che mai vedrà la luce. Preso come tale, dunque, mi sento anche di dire che l’anime ha un ottimo finale, che lascia enorme suspense per il prosieguo, ma siccome un continuo vero e proprio non esiste, l’ultimo episodio lascia un amaro in bocca che neanche la più dolce delle cioccolate riesce a lenire.
Le ultime parole vorrei spenderle per il comparto musicale, più che per quello grafico - minimal, curato e fedele al manga che ho iniziato da poco. Tanto le opening quanto le ending sono di altissimo livello, merito delle voci stupende di Anna Tsuchiya (Nana) e Olivia (Reira). In particolar modo la prima mi ha impressionato per il suo timbro unico, a maggior ragione per una cantante giapponese. La mia preferenza, più che a “rose”, ovvero la prima intro, va a “LUCY”, che ancora oggi non riesco a togliermi dalle orecchie.
In conclusione, vedetevi “Nana” e soffrite quando arriverete al (non) finale.