Recensione
Amo molto Ai Yazawa: il suo stile di disegno, i suoi personaggi, le storie che racconta. Andando alla ricerca dei suoi lavori sono andato a recuperare quest’opera che onestamente avevo sempre snobbato, sia perchè non sapevo fosse sua, sia perchè la credevo troppo infantile (diciamo che il titolo italiano “Curiosando nei cortili del cuore” non aiutava in tal senso).
Ho fatto bene a recuperarla: vi ho trovato gli stilemi tipici di Yazawa ma più giovanili e gioiosi, con una prospettiva speranzosa, prodromi dei temi che poi si veleranno di maggiore sofferenza nelle opere successive.
“Gokinjo Monogatari”, letteralmente “storie di quartiere”, è una commedia che ruota attorno alle vicende (sentimentali e non) di Tsutomu e Mikako, 15enni vicini di casa e amici d’infanzia inseparabili, e sulla comitiva di amici che frequentano insieme a loro l’istituto d’arte e coi quali fonderanno l’Akindo, un club artistico in cui ognuno crea opere di vario genere per poi venderle ai mercatini delle pulci.
La storia, che alterna fasi slice of life ad altre più apertamente shojo, è abbastanza coinvolgente.
Nonostante inizialmente Tsutomu e Mikako sembrino essere confusi su cosa provino realmente, risulta subito evidente che il rapporto tra i due sia assolutamente speciale, qualcosa che vada totalmente oltre la semplice amicizia, e anzi il punto di partenza della narrazione è proprio l’intento di Tsutomu di rompere questa stasi perenne su cui si è fossilizzato il rapporto tra lui e Mikako, generando una catena di eventi che porteranno a un’evoluzione lui, lei e tutti quelli che li circondano. Il tema principale è dunque quello della crescita, del passaggio dei personaggi dall’adolescenza all’età adulta.
Di fatto mentre Mikako è ancora una ragazzina capricciosa dai comportamenti puerili, Tsutomu (bravissimo ragazzo, gentile, generoso e affidabile) ha cominciato per primo a maturare iniziando a riflettere su se stesso e su Mikako, e questo farà crescere infine anche lei. Altra linea narrativa riguarda il triangolo tra Yusuke, Mariko e Ayumi: il primo è un ragazzo solido dagli atteggiamenti più maturi, la seconda una ragazza frivola e vanesia che non sa realmente cosa fare della sua vita, mentre la terza è una ragazza molto dolce, equilibrata e di supporto.
Gli altri secondari sono tutti ben caratterizzati, dalla rockettara Risa (molto adulta e affidabile), alla ragazza-peluche P-Chan (un’ingenua appassionata di bambolotti) fino ad arrivare alla madre di Mikako che regala continuamente momenti esilaranti.
Le fasi slice of life coinvolgono tutti, anche i personaggi secondari che hanno più o meno tutti i loro momenti di approfondimento.
Una cosa che ho molto apprezzato sono i dialoghi: scordatevi i personaggi repressi e ansiosi, inidonei alla socialità, che non sanno spiccicare una parola e che per ogni minimo contatto arrossiscono e balbettano. Qui i dialoghi sono diretti, freschi, i personaggi non si fanno scrupoli a tirare fuori le emozioni, sfogarsi, litigare, rincorrersi, prendersi in giro o anche insultarsi a volte. Dialoghi da veri adolescenti.
Alle tematiche sentimentali se ne affiancano anche altre di diverso genere che vanno dalle riflessioni sul mondo del lavoro (Mikako ha il sogno di diventare stilista) ai problemi coniugali (i genitori di Mikako sono divorziati). In particolar modo la situazione familiare di Mikako e la relazione col padre diventano il centro dell’ultimo arco dell’anime, a mio avviso molto forte emotivamente, nonostante sia stato notevolmente diluito e allungato rispetto al manga per il fatto che la storia del cartone aveva raggiunto il cartaceo.
Nota sul doppiaggio: per poter non solo apprezzare ma anche solo capire l’arco finale, è necessario vedere l’anime in lingua originale. Nel doppiaggio italiano infatti hanno deciso incomprensibilmente di censurare il fatto che i genitori di Mikako fossero divorziati, con risultati catastrofici sulle ultime 11 puntate del cartone visto che si parla prevalentemente di quello. Ciò ha portato a tagliare di netto delle scene e a stravolgere totalmente molti dialoghi diventati idioteschi.
Allo stesso modo è stata praticamente cancellata dai dialoghi l’evoluzione sentimentale tra Mikako e Tsutomu: nonostante ci facciano vedere la scena del bacio, fino alla fine della serie continuano a farli parlare in termini di semplice amicizia quando invece, com’è palesemente intuibile dai loro comportamenti, si sono ormai fidanzati.
Per non parlare di tante gag relative alla mitica mamma di Mikako che è costantemente preoccupata che sua figlia rimanga da sola con Tsutomu perchè teme che finiscano per fare sesso (ovviamente nel doppiaggio ogni riferimento al sesso viene eliminato sostituendolo con discorsi ridicoli senza senso).
Inoltre tante scene, che in originale hanno semplicemente un silenzio pieno di emozione (in cui a parlare sono gli sguardi e il non verbale), in italiano vengono riempite da dialoghi insulsi inventati di sana pianta. E’ una cosa che purtroppo accadeva spesso nei doppiaggi di quel periodo ma che non mi sono mai potuto spiegare: capisco cambiare un dialogo perchè c’è un riferimento al sesso (non lo condivido, ma lo comprendo), ma se c’è silenzio, perchè non lasciare il silenzio? Che senso ha? Mi fa andare ai matti sta cosa.
Al di la di questo, ho comunque apprezzato il timbro dei dialoghi che in fondo ha rispettato abbastanza il taglio giovanile e spensierato originale. L’unica cosa che stona continuamente è l’appellativo usato per Mariko: in originale Mikako e gli altri la chiamano, in senso un po’ spregiativo, “body-ko” (corpo da favola), appellativo che nel doppiaggio è stato sostituito con termini come “mummia” o “vecchia ciabatta” che non c’entrano proprio niente (trattandosi di una ragazza bellissima).
Tornando ai personaggi, da notare che alcuni sembrano i prototipi dei protagonisti delle opere successive.
In particolare Risa e Mikako sembrano le due Nana con la differenza che qui c’è una veste più positiva: Risa è una ragazza tranquilla in una relazione serena ed equilibrata col suo “Ren”. Mikako è frivola e infantile ma può appoggiarsi da sempre ad una relazione solidissima con Tsutomu destinata a felicità certa (due anime gemelle perfette).
Da un punto di vista visivo, lo stile di Yazawa è evidentissimo e anche esasperato: corpi magrissimi con braccia e gambe lunghissime, scarpe enormi, mani e teste sproporzionate. A me non dispiace ma so che non tutti apprezzeranno. Da notare però la grande cura verso i dettagli dei vestiti e accessori, molto particolari, sempre diversi. D’altra parte la Yazawa ha sempre avuto una vena da stilista.
L’anime copre solamente metà della storia del manga pertanto ha un finale aperto. Tuttavia lo trovo bello lo stesso e ha un senso anche così.
L’unico cruccio è che senza leggere il manga si perderà il collegamento tra Gokinjo Monogatari e l’anime successivo, Paradise Kiss, che è uno spin-off basato su personaggi che compaiono appunto nella seconda parte del manga. Per chi volesse saperne di più, metto sotto spoiler un breve riassunto su come continua la storia nel manga:
Yusuke romperà con Mariko, sposerà Ayumi e avranno un bambino.
La madre di Mikako si risposerà col padre e avranno un’altra bambina, Miwako (che fantasia i genitori, coi nomi!).
I personaggi che, cresciuti, ritroveremo come principali in Paradise Kiss sono la nuova generazione venuta fuori nel finale di “Gokinjo Monogatari”: Miwako (sorellina di Mikako), Arashi (figlio di Risa) e Hiroyuki (figlio di Hiroaki, il barman). Inoltre troviamo Seiji, personaggio assente nell’anime perchè compare anch’esso nella seconda parte del manga, che sarebbe un ragazzo bellissimo ed efebico, con il sogno di diventare un grande parrucchiere, che si installa a casa di Mikako come assistente della madre.
“Gokinjo Monogatari” è un’opera sicuramente un po’ acerba ma molto gradevole, divertente e a tratti toccante, sicuramente imprescindibile per i fan di Ai Yazawa. Mi ha fatto piacere vedere la sensei così ottimista e spensierata, rapportata a quella più malinconica e dolorosa successiva.
Ogni puntata mi ha catapultato negli anni 90, mi ha dato un senso di tepore, come ritrovare dei vecchi amici e mi è dispiaciuto quando sono arrivato alla conclusione. Mi mancherà un po’. Per riprendermi, vado a rivedere Paradise Kiss.
Ho fatto bene a recuperarla: vi ho trovato gli stilemi tipici di Yazawa ma più giovanili e gioiosi, con una prospettiva speranzosa, prodromi dei temi che poi si veleranno di maggiore sofferenza nelle opere successive.
“Gokinjo Monogatari”, letteralmente “storie di quartiere”, è una commedia che ruota attorno alle vicende (sentimentali e non) di Tsutomu e Mikako, 15enni vicini di casa e amici d’infanzia inseparabili, e sulla comitiva di amici che frequentano insieme a loro l’istituto d’arte e coi quali fonderanno l’Akindo, un club artistico in cui ognuno crea opere di vario genere per poi venderle ai mercatini delle pulci.
La storia, che alterna fasi slice of life ad altre più apertamente shojo, è abbastanza coinvolgente.
Nonostante inizialmente Tsutomu e Mikako sembrino essere confusi su cosa provino realmente, risulta subito evidente che il rapporto tra i due sia assolutamente speciale, qualcosa che vada totalmente oltre la semplice amicizia, e anzi il punto di partenza della narrazione è proprio l’intento di Tsutomu di rompere questa stasi perenne su cui si è fossilizzato il rapporto tra lui e Mikako, generando una catena di eventi che porteranno a un’evoluzione lui, lei e tutti quelli che li circondano. Il tema principale è dunque quello della crescita, del passaggio dei personaggi dall’adolescenza all’età adulta.
Di fatto mentre Mikako è ancora una ragazzina capricciosa dai comportamenti puerili, Tsutomu (bravissimo ragazzo, gentile, generoso e affidabile) ha cominciato per primo a maturare iniziando a riflettere su se stesso e su Mikako, e questo farà crescere infine anche lei. Altra linea narrativa riguarda il triangolo tra Yusuke, Mariko e Ayumi: il primo è un ragazzo solido dagli atteggiamenti più maturi, la seconda una ragazza frivola e vanesia che non sa realmente cosa fare della sua vita, mentre la terza è una ragazza molto dolce, equilibrata e di supporto.
Gli altri secondari sono tutti ben caratterizzati, dalla rockettara Risa (molto adulta e affidabile), alla ragazza-peluche P-Chan (un’ingenua appassionata di bambolotti) fino ad arrivare alla madre di Mikako che regala continuamente momenti esilaranti.
Le fasi slice of life coinvolgono tutti, anche i personaggi secondari che hanno più o meno tutti i loro momenti di approfondimento.
Una cosa che ho molto apprezzato sono i dialoghi: scordatevi i personaggi repressi e ansiosi, inidonei alla socialità, che non sanno spiccicare una parola e che per ogni minimo contatto arrossiscono e balbettano. Qui i dialoghi sono diretti, freschi, i personaggi non si fanno scrupoli a tirare fuori le emozioni, sfogarsi, litigare, rincorrersi, prendersi in giro o anche insultarsi a volte. Dialoghi da veri adolescenti.
Alle tematiche sentimentali se ne affiancano anche altre di diverso genere che vanno dalle riflessioni sul mondo del lavoro (Mikako ha il sogno di diventare stilista) ai problemi coniugali (i genitori di Mikako sono divorziati). In particolar modo la situazione familiare di Mikako e la relazione col padre diventano il centro dell’ultimo arco dell’anime, a mio avviso molto forte emotivamente, nonostante sia stato notevolmente diluito e allungato rispetto al manga per il fatto che la storia del cartone aveva raggiunto il cartaceo.
Nota sul doppiaggio: per poter non solo apprezzare ma anche solo capire l’arco finale, è necessario vedere l’anime in lingua originale. Nel doppiaggio italiano infatti hanno deciso incomprensibilmente di censurare il fatto che i genitori di Mikako fossero divorziati, con risultati catastrofici sulle ultime 11 puntate del cartone visto che si parla prevalentemente di quello. Ciò ha portato a tagliare di netto delle scene e a stravolgere totalmente molti dialoghi diventati idioteschi.
Allo stesso modo è stata praticamente cancellata dai dialoghi l’evoluzione sentimentale tra Mikako e Tsutomu: nonostante ci facciano vedere la scena del bacio, fino alla fine della serie continuano a farli parlare in termini di semplice amicizia quando invece, com’è palesemente intuibile dai loro comportamenti, si sono ormai fidanzati.
Per non parlare di tante gag relative alla mitica mamma di Mikako che è costantemente preoccupata che sua figlia rimanga da sola con Tsutomu perchè teme che finiscano per fare sesso (ovviamente nel doppiaggio ogni riferimento al sesso viene eliminato sostituendolo con discorsi ridicoli senza senso).
Inoltre tante scene, che in originale hanno semplicemente un silenzio pieno di emozione (in cui a parlare sono gli sguardi e il non verbale), in italiano vengono riempite da dialoghi insulsi inventati di sana pianta. E’ una cosa che purtroppo accadeva spesso nei doppiaggi di quel periodo ma che non mi sono mai potuto spiegare: capisco cambiare un dialogo perchè c’è un riferimento al sesso (non lo condivido, ma lo comprendo), ma se c’è silenzio, perchè non lasciare il silenzio? Che senso ha? Mi fa andare ai matti sta cosa.
Al di la di questo, ho comunque apprezzato il timbro dei dialoghi che in fondo ha rispettato abbastanza il taglio giovanile e spensierato originale. L’unica cosa che stona continuamente è l’appellativo usato per Mariko: in originale Mikako e gli altri la chiamano, in senso un po’ spregiativo, “body-ko” (corpo da favola), appellativo che nel doppiaggio è stato sostituito con termini come “mummia” o “vecchia ciabatta” che non c’entrano proprio niente (trattandosi di una ragazza bellissima).
Tornando ai personaggi, da notare che alcuni sembrano i prototipi dei protagonisti delle opere successive.
In particolare Risa e Mikako sembrano le due Nana con la differenza che qui c’è una veste più positiva: Risa è una ragazza tranquilla in una relazione serena ed equilibrata col suo “Ren”. Mikako è frivola e infantile ma può appoggiarsi da sempre ad una relazione solidissima con Tsutomu destinata a felicità certa (due anime gemelle perfette).
Da un punto di vista visivo, lo stile di Yazawa è evidentissimo e anche esasperato: corpi magrissimi con braccia e gambe lunghissime, scarpe enormi, mani e teste sproporzionate. A me non dispiace ma so che non tutti apprezzeranno. Da notare però la grande cura verso i dettagli dei vestiti e accessori, molto particolari, sempre diversi. D’altra parte la Yazawa ha sempre avuto una vena da stilista.
L’anime copre solamente metà della storia del manga pertanto ha un finale aperto. Tuttavia lo trovo bello lo stesso e ha un senso anche così.
L’unico cruccio è che senza leggere il manga si perderà il collegamento tra Gokinjo Monogatari e l’anime successivo, Paradise Kiss, che è uno spin-off basato su personaggi che compaiono appunto nella seconda parte del manga. Per chi volesse saperne di più, metto sotto spoiler un breve riassunto su come continua la storia nel manga:
Attenzione :: Spoiler! (clicca per visualizzarlo)
in sostanza Mikako e Tsutomu resteranno insieme fino alla fine, si sposeranno e avranno un bambino. Mikako diventerà una stilista professionista col suo marchio Happy Berry. Yusuke romperà con Mariko, sposerà Ayumi e avranno un bambino.
La madre di Mikako si risposerà col padre e avranno un’altra bambina, Miwako (che fantasia i genitori, coi nomi!).
I personaggi che, cresciuti, ritroveremo come principali in Paradise Kiss sono la nuova generazione venuta fuori nel finale di “Gokinjo Monogatari”: Miwako (sorellina di Mikako), Arashi (figlio di Risa) e Hiroyuki (figlio di Hiroaki, il barman). Inoltre troviamo Seiji, personaggio assente nell’anime perchè compare anch’esso nella seconda parte del manga, che sarebbe un ragazzo bellissimo ed efebico, con il sogno di diventare un grande parrucchiere, che si installa a casa di Mikako come assistente della madre.
“Gokinjo Monogatari” è un’opera sicuramente un po’ acerba ma molto gradevole, divertente e a tratti toccante, sicuramente imprescindibile per i fan di Ai Yazawa. Mi ha fatto piacere vedere la sensei così ottimista e spensierata, rapportata a quella più malinconica e dolorosa successiva.
Ogni puntata mi ha catapultato negli anni 90, mi ha dato un senso di tepore, come ritrovare dei vecchi amici e mi è dispiaciuto quando sono arrivato alla conclusione. Mi mancherà un po’. Per riprendermi, vado a rivedere Paradise Kiss.