Recensione
Dragon Quest
8.5/10
Recensione di Fabbrizio_on_the_Road
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“Dragon Quest” è una saga che conosco spaventosamente poco e nel tentativo di rimediare qualche giorno fa decisi di recuperare il primo capitolo con il comprensibile timore di ritrovarmi di fronte ad un gioco ormai datato e totalmente obsoleto. Invece sono rimasto stupito da quanto questo titolo sia ancora in grado di divertire malgrado gli anni e le innumerevoli innovazioni nel campo dei GDR.
Specifico fin da subito che ho giocato e completato la più recente versione per Switch (che immagino sia la stessa uscita qualche anno fa su Android e iOS), ma ho voluto comunque testare alcune versioni più vecchie per approfondire l’evoluzione del gioco negli anni. Di queste ultime parlerò alla fine perché nonostante vi siano stati evidenti cambiamenti grafici, credo che alla fine l’esperienza del gioco sia rimasta intatta e che quindi queste possano essere considerate versioni diverse dello stesso gioco e non giochi del tutto differenti.
Il primo aspetto che mi ha colpito è stata l’immediatezza del gameplay. Qualche mese fa avevo, sempre per cultura personale, provato i primi capitoli della storica saga di “Ultima” a cui “Dragon Quest” in parte si era ispirato. Purtroppo, sono titoli che ho abbandonato dopo pochi minuti di gioco, in quanto mi sono sembrate delle esperienze totalmente superate e poco accessibili. Con “Dragon Quest” è stato l’opposto. Non potevo credere che un gioco di ruolo del 1986 potesse essere così intuitivo, essenziale e tutto sommato moderno, visto che alcune meccaniche rimangono attuali anche per i GDR contemporanei. Sicuramente uno dei punti forti del gioco è la gradualità con cui il giocatore sviluppa la propria esperienza. È molto facile capire qual è la zona più consona al nostro livello e ci sono sempre dei nemici alla portata con cui poter guadagnare soldi ed esperienza. Un altro aspetto che rende questo gioco particolarmente accessibile è la progressione del giocatore. Ad ogni livello ci verranno assegnati dei punti nelle varie statistiche in modo automatico e con essi ogni tanto anche qualche nuova magia. Anche queste ultime sono abbastanza essenziali e si capisce al volo quale sia il loro effetto. Insomma, credo che in generale l’aspetto invecchiato meglio di questo gioco, nonché probabilmente il motivo del successo dell’epoca, sia la relativa semplicità con cui si capiscono le meccaniche di gameplay. Anche al di fuori del genere dei giochi di ruolo non è facile trovare dei titoli di quell’epoca che potessero esprimere un’esperienza così varia e longeva senza ricorrere a qualche meccanica o schema troppo criptico che tendenzialmente sono invecchiati male nel corso degli anni. Ho apprezzato anche il mondo di gioco nel suo insieme, nel suo design, nei suoi colori e soprattutto nei suoi mostri. Hanno qualcosa di speciale che è difficile da descrivere perché in realtà sono molto semplici, ma a loro modo geniali e iconici. Poco da dire sulla colonna sonora, veramente ottima e originale, alcuni suoni, come quello che indica l’avanzamento di livello, ti entrano nella testa per non uscirci mai più.
Per quanto riguarda il lato grafico, credo sia giunto il momento di parlare delle varie versioni che ho testato a partire da quella che mi ha impegnato per più tempo nonché l’unica con cui ho concluso il gioco. La versione Switch è veramente bella, talmente bella che ho capito subito che non potesse trattarsi di una semplice remastered dell’originale per NES/Famicom. Ha dei colori molto accesi, dei testi puliti e l’immagine di ogni mostro è piuttosto moderna. Credo che francamente sia la versione più adatta al giocatore contemporaneo che volesse recuperare questo titolo al giorno d’oggi, anche grazie ad alcune semplificazioni nelle azioni di gioco.
Mi sono comunque voluto togliere lo sfizio di provare l’originale nella versione americana chiamata “Dragon Warrior”. Per i suoi anni non è malvagia, ma alcune cose sono effettivamente invecchiate male. Quasi ogni azione di gioco richiede di aprire il menu e ovviamente la risoluzione grafica è figlia della sua epoca e i testi sono molto sacrificati. Contestualizzata ai suoi anni è una buona versione, ma oggi credo vada consigliata ai fan accaniti che vogliono scoprire il titolo anche nella sua forma originale, mentre per i nuovi giocatori come me le versioni più recenti sono sicuramente più apprezzabili.
Ho voluto provare anche la versione per Super Famicom uscita nel 1993 solo in Giappone in accoppiata con il secondo capitolo. Sorprendentemente è una versione che esteticamente riesce a tenere testa a quella moderna, offre dei colori più naturali e caratteristici per l’epoca a 16-bit. Come stile la preferisco a quella più recente, in compenso alcune azioni richiedevano ancora il menù per essere eseguite. Curiosamente, la versione tradotta amatorialmente in inglese e distribuita su internet di questa versione è quella che offre la traduzione più fedele all’originale, ed è più facile da seguire per il pubblico non anglofono rispetto alle ultime che hanno optato per l’utilizzo di un inglese antico a cui francamente non ero proprio abituato.
Concludendo, “Dragon Quest” è stato un gioco rivoluzionario che ha saputo rendere i GDR alla portata di tutti, per motivazioni ancora oggi palpabili. La natura immediata, veloce e giocosa del titolo si è conservata splendidamente, pur passando tra diverse versioni che ne hanno cambiato la grafica, ma non lo spirito. Sinceramente non vedo l’ora di recuperare anche i capitoli successivi. Se volete farvi un po’ di cultura videoludica personale e siete pure amanti dei giochi di ruolo, “Dragon Quest” è un titolo da giocare.
Specifico fin da subito che ho giocato e completato la più recente versione per Switch (che immagino sia la stessa uscita qualche anno fa su Android e iOS), ma ho voluto comunque testare alcune versioni più vecchie per approfondire l’evoluzione del gioco negli anni. Di queste ultime parlerò alla fine perché nonostante vi siano stati evidenti cambiamenti grafici, credo che alla fine l’esperienza del gioco sia rimasta intatta e che quindi queste possano essere considerate versioni diverse dello stesso gioco e non giochi del tutto differenti.
Il primo aspetto che mi ha colpito è stata l’immediatezza del gameplay. Qualche mese fa avevo, sempre per cultura personale, provato i primi capitoli della storica saga di “Ultima” a cui “Dragon Quest” in parte si era ispirato. Purtroppo, sono titoli che ho abbandonato dopo pochi minuti di gioco, in quanto mi sono sembrate delle esperienze totalmente superate e poco accessibili. Con “Dragon Quest” è stato l’opposto. Non potevo credere che un gioco di ruolo del 1986 potesse essere così intuitivo, essenziale e tutto sommato moderno, visto che alcune meccaniche rimangono attuali anche per i GDR contemporanei. Sicuramente uno dei punti forti del gioco è la gradualità con cui il giocatore sviluppa la propria esperienza. È molto facile capire qual è la zona più consona al nostro livello e ci sono sempre dei nemici alla portata con cui poter guadagnare soldi ed esperienza. Un altro aspetto che rende questo gioco particolarmente accessibile è la progressione del giocatore. Ad ogni livello ci verranno assegnati dei punti nelle varie statistiche in modo automatico e con essi ogni tanto anche qualche nuova magia. Anche queste ultime sono abbastanza essenziali e si capisce al volo quale sia il loro effetto. Insomma, credo che in generale l’aspetto invecchiato meglio di questo gioco, nonché probabilmente il motivo del successo dell’epoca, sia la relativa semplicità con cui si capiscono le meccaniche di gameplay. Anche al di fuori del genere dei giochi di ruolo non è facile trovare dei titoli di quell’epoca che potessero esprimere un’esperienza così varia e longeva senza ricorrere a qualche meccanica o schema troppo criptico che tendenzialmente sono invecchiati male nel corso degli anni. Ho apprezzato anche il mondo di gioco nel suo insieme, nel suo design, nei suoi colori e soprattutto nei suoi mostri. Hanno qualcosa di speciale che è difficile da descrivere perché in realtà sono molto semplici, ma a loro modo geniali e iconici. Poco da dire sulla colonna sonora, veramente ottima e originale, alcuni suoni, come quello che indica l’avanzamento di livello, ti entrano nella testa per non uscirci mai più.
Per quanto riguarda il lato grafico, credo sia giunto il momento di parlare delle varie versioni che ho testato a partire da quella che mi ha impegnato per più tempo nonché l’unica con cui ho concluso il gioco. La versione Switch è veramente bella, talmente bella che ho capito subito che non potesse trattarsi di una semplice remastered dell’originale per NES/Famicom. Ha dei colori molto accesi, dei testi puliti e l’immagine di ogni mostro è piuttosto moderna. Credo che francamente sia la versione più adatta al giocatore contemporaneo che volesse recuperare questo titolo al giorno d’oggi, anche grazie ad alcune semplificazioni nelle azioni di gioco.
Mi sono comunque voluto togliere lo sfizio di provare l’originale nella versione americana chiamata “Dragon Warrior”. Per i suoi anni non è malvagia, ma alcune cose sono effettivamente invecchiate male. Quasi ogni azione di gioco richiede di aprire il menu e ovviamente la risoluzione grafica è figlia della sua epoca e i testi sono molto sacrificati. Contestualizzata ai suoi anni è una buona versione, ma oggi credo vada consigliata ai fan accaniti che vogliono scoprire il titolo anche nella sua forma originale, mentre per i nuovi giocatori come me le versioni più recenti sono sicuramente più apprezzabili.
Ho voluto provare anche la versione per Super Famicom uscita nel 1993 solo in Giappone in accoppiata con il secondo capitolo. Sorprendentemente è una versione che esteticamente riesce a tenere testa a quella moderna, offre dei colori più naturali e caratteristici per l’epoca a 16-bit. Come stile la preferisco a quella più recente, in compenso alcune azioni richiedevano ancora il menù per essere eseguite. Curiosamente, la versione tradotta amatorialmente in inglese e distribuita su internet di questa versione è quella che offre la traduzione più fedele all’originale, ed è più facile da seguire per il pubblico non anglofono rispetto alle ultime che hanno optato per l’utilizzo di un inglese antico a cui francamente non ero proprio abituato.
Concludendo, “Dragon Quest” è stato un gioco rivoluzionario che ha saputo rendere i GDR alla portata di tutti, per motivazioni ancora oggi palpabili. La natura immediata, veloce e giocosa del titolo si è conservata splendidamente, pur passando tra diverse versioni che ne hanno cambiato la grafica, ma non lo spirito. Sinceramente non vedo l’ora di recuperare anche i capitoli successivi. Se volete farvi un po’ di cultura videoludica personale e siete pure amanti dei giochi di ruolo, “Dragon Quest” è un titolo da giocare.