Recensione
Avendo di fronte quest’opera i detti e le frasi di circostanza sui desideri più improbabili, ma che alla fine si avverano, si sprecherebbero senza dubbio. Fatto sta che, poco più di 30 anni dopo l’inizio della serie manga originale, "Dragon Quest – Dai no Daibouken" ha avuto la sua trasposizione animata completa.
Viene dunque superata e consegnata alle cronache la oramai vecchia serie anime partita non molto più tardi del manga stesso e che alla fine adattava solamente una parte, quella iniziale, più o meno un quarto di tutta la storia.
Spazio quindi a "Dragon Quest – L’avventura di Dai" come definitiva trasposizione dello shounen manga realizzato da Riku Sanjou, Yuji Horii con anche la collaborazione del maestro Toriyama e di tutto il team da sempre all’opera sul brand di Dragon Quest.
“Avventura” è proprio la parola emblematica che caratterizza tutta l’opera. Perfettamente calzante a quelli che sono i canoni e gli stilemi del più classico degli JRPG (giochi di ruolo alla giapponese, diciamo), vediamo il giovane Dai che da allegro bambino naufragato su un’isola popolata da pacifici mostri e da loro adottato, intraprenderà un viaggio insieme a coraggiosi e fidati compagni che lo porterà fino a sfidare il sovrano delle tenebre in una battaglia per il destino del mondo.
L’ “avventura” è bella, epica e anche affascinante, ma tale è proprio perché ci sono gli avventurieri che vi si lanciano. Al di là di battaglie, eventi e climax vari è con tutta evidenza la componente dei personaggi che dà la forza all’opera e la fa volare alto. Ma ciò avviene perché l’avventura è di Dai nel nome, ma in realtà si compone di un intreccio di tutta una serie di avventure personali che insieme vanno avanti, si incontrano, si scontrano, crescono, eccome se crescono, e poi trovano il loro epilogo.
C’è il buon Dai, eroe positivo e protagonista designato, che da impacciato moccioso diventa il temerario trascinatore che “dovrà sfidare un grande impero” (se ricordiamo la sigla italiana della vecchia serie), che al tempo stesso è frontman e figura un po’ sfumata come quando al momento di evocare le “cinque luci” la sua rimane la più misteriosa e identificata con una generica “purezza”. C’è soprattutto il grande Popp, a detta di molti il vero eroe della serie, forse perché nel gruppo dei talentuosi è quello dalle reazioni e dalle fragilità più tipiche dell’essere umano (potente questo elemento durante la battaglia finale) ma anche perché è lui a raccogliere in definitiva il ruolo dell’eroe dello shounen che partendo dal livello base arriva al top dopo una lunga crescita, tra cadute, allenamenti, sconfitte, miracolosi recuperi e potenziamenti. Abbiamo anche Hyunckel, che ha ruolo di quello che è passato al lato oscuro ma che poi ritorna il quello luminoso per riscattare il suo passato. La lista, insomma, si farebbe lunga assai e quasi sembrerebbe un torto glissare rapidamente sui vari Maam, Avan, Leona, Crocodyne, Lon Berk (ebbene vedremo anche lui), Matoriv, Chu, Gome-chan… insomma, ci siamo capiti.
Ciò che era molto positivo nel manga, e che è stato pedissequamente riportato anche in questa versione animata, è che la storia non lascia nessuno per strada, come invece è brutto vizio per tante storie, anche famosissime, dei tempi di oggi che pure all’Avventura di Dai devono molto. Starà quindi allo spettatore tenere sempre d’occhio chiunque entri in scena e interagisca con il gruppo dei protagonisti, perché pur se non lo si vede più da molto tempo al momento più importante potrebbe tornare in scena e risultare, a suo modo, decisivo.
Riagganciandoci però al discorso sui protagonisti dobbiamo almeno spendere qualche rigo anche sul gruppo degli antagonisti che, come il famoso yin-yang, completa l’armonia d’insieme di tutto il cast, del resto se c’è luce deve esserci anche la tenebra o il mondo non si completerebbe.
Alla luce dei fatti quindi, la scuderia dei malvagi non è certo inferiore o meno privo di dignità rispetto a quello degli eroi. Emblema di questo aspetto è la figura di Hadler, il comandante sul campo dell’esercito demoniaco, che da principale arcigna nemesi di Avan prima, e di Dai poi, attraversa anch’egli una strada di caduta e risalita che lo porta a diventare un rivale (quasi sportivo) munito di un suo orgoglio di combattente. Non di meno vanno citati, vere e proprie new entry, anche la pattuglia dei guerrieri di Oliargon comandata dallo stesso Hadler e soprattutto il vero re delle Tenebre Vearn, cattivone assai malvagio quanto carismatico e affascinante che ora apparirà in tutta la sua presenza e potenza. Davvero non si comprende come non sia stato rievocato e richiamato in qualche occasione tra le migliori nemesi delle opere di Shueisha.
Aggiornato ai tempi attuali il comparto tecnico, si nota quasi da subito, e ancora di più con l’andare degli episodi quando la situazione lo richiede, come lo staff della Toei abbia profuso un grande impegno nella produzione. Difficile infatti trovare disegni brutti o approssimativi. I colori sono in generale sempre ben vividi e molto accesi ma anche adeguatamente cupi e scuri, e per certi versi solenni, quando la situazione lo richiede.
Sul lato delle animazioni, ogni sequenza è realizzata in modo curato e apprezzabile specialmente per quanto riguarda le fasi di combattimento come è lecito aspettarsi da questo tipo di opere. In generale però a emergere è la cura complessiva con cui si vede che l’anime è stato realizzato, dai disegni alla regia che, con il supporto di una colonna sonora a tratti sontuosa, ci regala in varie occasioni delle sequenze di grande effetto.
“Fedeltà” è invece la parola che viene spontanea nel descrivere la serie nell’ottica della trasposizione dal manga originale. Fatta salva una certa e decisa opera di sintesi e snellimento rispetto alla vecchia serie (46 episodi avevano adattato circa un terzo della storia mentre qui siamo arrivati alla soglia dei cento) con la rivisitazione di alcune parti molto secondarie, si può dire che tutte le pagine del manga sono state animate in modo pedissequo. Tutto ciò è ovviamente molto apprezzabile. Peccato solo che, per via della recente ondata neobigottista e egualitaria nei generi, molte delle sequenze ecchi (da Eremita della Tartaruga diciamo…) che davano pepe e andavano assai in voga ai tempi della pubblicazione del manga sono state sacrificate sull’altare del grande pubblico e del perbenismo.
Nota di merito finale per il cast di doppiaggio che offre un vivace e affiatato mix tra nomi di punta dello scenario attuale come la Saori Hayami (Leona), Yuuki Kaji (Hyunkel), Mikako Komatsu (Maam), ovviamente rimarcando una superba prestazione di Toshiyuki Toyonaga che dà lustro ulteriore al ruolo di Popp, oltre poi a nomi oramai affermati da più tempo come Tomokazu Seki per Hadler, Takahiro Sakurai per Avan, Akira Ishida per il cavaliere Larhalt o anche Yukari Tamura (Albinass), fino a giungere a super veterani come Tesshou Genda o anche di Ryuusei Nakano che con questo ampio roster di personaggi ottengono dei ruoli e neanche tanto secondari.
Una pecca, se così possiamo dirla, risiede nella scelta di adattamento dei sottotitoli ufficiali dove per le formule è stato scelto l’adattamento occidentale delle formule magiche. A parte il fatto che, tanto per fare un esempio fra molti, sentir urlare per lanciare un “Vegiragon!” e leggere più sotto “Baboom!” fa strano assai, così pronunciato il nome di uno degli incantesimi più devastanti su piazza tanto temibile non è.
L’avventura di Dai è un’opera importante sotto più di un aspetto. Da un lato per la mole della stessa con cento episodi di durata che non si vedono di frequente al giorno d’oggi, dall’altro perché rende giustizia a un grande classico del manga per ragazzi che in patria ha lasciato il segno (meno ahinoi in occidente) e da un altro ancora perché è uno sforzo produttivo non indifferente.
Il suo grande e miglior pregio, ovvero quello di andare in un costante crescendo alla distanza, se vogliamo è anche il suo principale limite perché occorrerà tempo affinché la storia entri nella sua parte viva e fino a lì c’è il rischio che lo spettatore più frettoloso si possa spazientire.
Vederlo (ad anni di distanza dall’ultima lettura del manga) è stato come rifare un viaggio, non catartico come può essere stato Naruto, a tratti anche faticoso, ma alla fine sicuramente appagante. Una grande avventura, insomma.
Viene dunque superata e consegnata alle cronache la oramai vecchia serie anime partita non molto più tardi del manga stesso e che alla fine adattava solamente una parte, quella iniziale, più o meno un quarto di tutta la storia.
Spazio quindi a "Dragon Quest – L’avventura di Dai" come definitiva trasposizione dello shounen manga realizzato da Riku Sanjou, Yuji Horii con anche la collaborazione del maestro Toriyama e di tutto il team da sempre all’opera sul brand di Dragon Quest.
“Avventura” è proprio la parola emblematica che caratterizza tutta l’opera. Perfettamente calzante a quelli che sono i canoni e gli stilemi del più classico degli JRPG (giochi di ruolo alla giapponese, diciamo), vediamo il giovane Dai che da allegro bambino naufragato su un’isola popolata da pacifici mostri e da loro adottato, intraprenderà un viaggio insieme a coraggiosi e fidati compagni che lo porterà fino a sfidare il sovrano delle tenebre in una battaglia per il destino del mondo.
L’ “avventura” è bella, epica e anche affascinante, ma tale è proprio perché ci sono gli avventurieri che vi si lanciano. Al di là di battaglie, eventi e climax vari è con tutta evidenza la componente dei personaggi che dà la forza all’opera e la fa volare alto. Ma ciò avviene perché l’avventura è di Dai nel nome, ma in realtà si compone di un intreccio di tutta una serie di avventure personali che insieme vanno avanti, si incontrano, si scontrano, crescono, eccome se crescono, e poi trovano il loro epilogo.
C’è il buon Dai, eroe positivo e protagonista designato, che da impacciato moccioso diventa il temerario trascinatore che “dovrà sfidare un grande impero” (se ricordiamo la sigla italiana della vecchia serie), che al tempo stesso è frontman e figura un po’ sfumata come quando al momento di evocare le “cinque luci” la sua rimane la più misteriosa e identificata con una generica “purezza”. C’è soprattutto il grande Popp, a detta di molti il vero eroe della serie, forse perché nel gruppo dei talentuosi è quello dalle reazioni e dalle fragilità più tipiche dell’essere umano (potente questo elemento durante la battaglia finale) ma anche perché è lui a raccogliere in definitiva il ruolo dell’eroe dello shounen che partendo dal livello base arriva al top dopo una lunga crescita, tra cadute, allenamenti, sconfitte, miracolosi recuperi e potenziamenti. Abbiamo anche Hyunckel, che ha ruolo di quello che è passato al lato oscuro ma che poi ritorna il quello luminoso per riscattare il suo passato. La lista, insomma, si farebbe lunga assai e quasi sembrerebbe un torto glissare rapidamente sui vari Maam, Avan, Leona, Crocodyne, Lon Berk (ebbene vedremo anche lui), Matoriv, Chu, Gome-chan… insomma, ci siamo capiti.
Ciò che era molto positivo nel manga, e che è stato pedissequamente riportato anche in questa versione animata, è che la storia non lascia nessuno per strada, come invece è brutto vizio per tante storie, anche famosissime, dei tempi di oggi che pure all’Avventura di Dai devono molto. Starà quindi allo spettatore tenere sempre d’occhio chiunque entri in scena e interagisca con il gruppo dei protagonisti, perché pur se non lo si vede più da molto tempo al momento più importante potrebbe tornare in scena e risultare, a suo modo, decisivo.
Riagganciandoci però al discorso sui protagonisti dobbiamo almeno spendere qualche rigo anche sul gruppo degli antagonisti che, come il famoso yin-yang, completa l’armonia d’insieme di tutto il cast, del resto se c’è luce deve esserci anche la tenebra o il mondo non si completerebbe.
Alla luce dei fatti quindi, la scuderia dei malvagi non è certo inferiore o meno privo di dignità rispetto a quello degli eroi. Emblema di questo aspetto è la figura di Hadler, il comandante sul campo dell’esercito demoniaco, che da principale arcigna nemesi di Avan prima, e di Dai poi, attraversa anch’egli una strada di caduta e risalita che lo porta a diventare un rivale (quasi sportivo) munito di un suo orgoglio di combattente. Non di meno vanno citati, vere e proprie new entry, anche la pattuglia dei guerrieri di Oliargon comandata dallo stesso Hadler e soprattutto il vero re delle Tenebre Vearn, cattivone assai malvagio quanto carismatico e affascinante che ora apparirà in tutta la sua presenza e potenza. Davvero non si comprende come non sia stato rievocato e richiamato in qualche occasione tra le migliori nemesi delle opere di Shueisha.
Aggiornato ai tempi attuali il comparto tecnico, si nota quasi da subito, e ancora di più con l’andare degli episodi quando la situazione lo richiede, come lo staff della Toei abbia profuso un grande impegno nella produzione. Difficile infatti trovare disegni brutti o approssimativi. I colori sono in generale sempre ben vividi e molto accesi ma anche adeguatamente cupi e scuri, e per certi versi solenni, quando la situazione lo richiede.
Sul lato delle animazioni, ogni sequenza è realizzata in modo curato e apprezzabile specialmente per quanto riguarda le fasi di combattimento come è lecito aspettarsi da questo tipo di opere. In generale però a emergere è la cura complessiva con cui si vede che l’anime è stato realizzato, dai disegni alla regia che, con il supporto di una colonna sonora a tratti sontuosa, ci regala in varie occasioni delle sequenze di grande effetto.
“Fedeltà” è invece la parola che viene spontanea nel descrivere la serie nell’ottica della trasposizione dal manga originale. Fatta salva una certa e decisa opera di sintesi e snellimento rispetto alla vecchia serie (46 episodi avevano adattato circa un terzo della storia mentre qui siamo arrivati alla soglia dei cento) con la rivisitazione di alcune parti molto secondarie, si può dire che tutte le pagine del manga sono state animate in modo pedissequo. Tutto ciò è ovviamente molto apprezzabile. Peccato solo che, per via della recente ondata neobigottista e egualitaria nei generi, molte delle sequenze ecchi (da Eremita della Tartaruga diciamo…) che davano pepe e andavano assai in voga ai tempi della pubblicazione del manga sono state sacrificate sull’altare del grande pubblico e del perbenismo.
Nota di merito finale per il cast di doppiaggio che offre un vivace e affiatato mix tra nomi di punta dello scenario attuale come la Saori Hayami (Leona), Yuuki Kaji (Hyunkel), Mikako Komatsu (Maam), ovviamente rimarcando una superba prestazione di Toshiyuki Toyonaga che dà lustro ulteriore al ruolo di Popp, oltre poi a nomi oramai affermati da più tempo come Tomokazu Seki per Hadler, Takahiro Sakurai per Avan, Akira Ishida per il cavaliere Larhalt o anche Yukari Tamura (Albinass), fino a giungere a super veterani come Tesshou Genda o anche di Ryuusei Nakano che con questo ampio roster di personaggi ottengono dei ruoli e neanche tanto secondari.
Una pecca, se così possiamo dirla, risiede nella scelta di adattamento dei sottotitoli ufficiali dove per le formule è stato scelto l’adattamento occidentale delle formule magiche. A parte il fatto che, tanto per fare un esempio fra molti, sentir urlare per lanciare un “Vegiragon!” e leggere più sotto “Baboom!” fa strano assai, così pronunciato il nome di uno degli incantesimi più devastanti su piazza tanto temibile non è.
L’avventura di Dai è un’opera importante sotto più di un aspetto. Da un lato per la mole della stessa con cento episodi di durata che non si vedono di frequente al giorno d’oggi, dall’altro perché rende giustizia a un grande classico del manga per ragazzi che in patria ha lasciato il segno (meno ahinoi in occidente) e da un altro ancora perché è uno sforzo produttivo non indifferente.
Il suo grande e miglior pregio, ovvero quello di andare in un costante crescendo alla distanza, se vogliamo è anche il suo principale limite perché occorrerà tempo affinché la storia entri nella sua parte viva e fino a lì c’è il rischio che lo spettatore più frettoloso si possa spazientire.
Vederlo (ad anni di distanza dall’ultima lettura del manga) è stato come rifare un viaggio, non catartico come può essere stato Naruto, a tratti anche faticoso, ma alla fine sicuramente appagante. Una grande avventura, insomma.