Recensione
20th Century Boys
9.5/10
“Alla fine del secolo scorso, l’umanità rischiò di non entrare nella nuova era a causa di una crisi che minacciava di spazzarla via… se non fossero intervenuti “loro”. Nel 1969, quando stavano ancora vivendo la propria fanciullezza, “loro” crearono un simbolo. Nel 1997, mentre cominciavano a manifestarsi i primi segni di un disastro incombente, quel simbolo tornava a vivere. Questa è la storia di un gruppo di ragazzi che hanno salvato il mondo.”
Ideato dalla mente geniale del celebre Naoki Urasawa, “20th Century Boys” è un manga di 22 volumi pubblicato sulla rivista Big Comic Spirits della casa editrice Shogakukan a partire dal 1999 e conclusosi nel 2006, la cui storia trova degna conclusione nel successivo “21st Century Boys”, manga sequel dell’opera originale, che conta appena due volumi. L'opera si è aggiudicata il Kodansha Manga Award nella categoria generale nel 2001, il Premio eccellenza al Japan Media Arts Festival Award del 2002, il Shogakukan Manga Award nella categoria generale nel 2003 e il Seiun Award come miglior manga nel 2008.
Un robot, un'organizzazione malvagia, degli eroi che la combattono, gli alieni, un terribile virus... un nuovo manga di azione? No… semplicemente il gioco di un gruppo di bambini che dalla loro base segreta sognavano un futuro in cui salvavano il mondo da una terribile minaccia. Chi l'avrebbe detto che il quaderno in cui scrivevano e disegnavano le loro idee sarebbe diventato la nuova Bibbia? Sono passati parecchi anni, ormai tutti sono cresciuti, quando alcuni eventi mettono in moto il lento meccanismo della memoria che li costringerà a ricordare i giorni della loro infanzia, la chiave per capire la minaccia che a breve avrebbe colpito l'intera umanità. Qualcuno sta cercando di realizzare il loro gioco, e ci riuscirà, a meno che loro non riescano a fermarlo. Questo qualcuno è l'Amico, che utilizza come stemma proprio il logo che da bambini avevano inventato. Ma chi è l'Amico? Come fa a conoscere il contenuto del loro quaderno? E cosa potranno fare loro, un gruppetto di persone comunissime, contro una simile minaccia?
“20th Century Boys” di Naoki Urasawa è uno di quei thriller politici che ti entra dentro e ti spinge a cercare da solo le risposte che, per forza di cose, è costretto a darti l’autore entro la fine dell’opera, anche se non è sempre detto. La storia di Urasawa è di quelle enigmatiche, in grado di catturare e appassionare completamente il lettore, che, come nel mio caso, si trova spesso ad avanzare delle supposizioni circa i fatti che si susseguono ininterrotti, chiaro sintomo di grande partecipazione. Mai come nel caso di “20th Century Boys”, è necessaria una lettura attiva, unica soluzione se si vuole seguire passo dopo passo l’autore sulla strada da esso tracciata. Urasawa costruisce la sua opera muovendosi su più linee temporali, con un continuo alternarsi di scene del presente e flashbacks. Passato e presente vivono di una corrispondenza perfetta, tant’è che i continui “salti temporali” sono tutt’altro che fastidiosi, nonché essenziali ai fini della trama, che si presenta come un grandissimo puzzle di cui, a poco a poco, vengono forniti tutti, o quasi, i pezzi. Al centro di questo enorme puzzle c’è un simbolo, quello di un vecchio gruppo di amici d’infanzia nel passato, utilizzato nel presente da una strana setta religiosa, la Setta dell’Amico. La proliferazione di sette nel Giappone di fine millennio, paese dalla grande libertà di culto, nonché la religione stessa diventano oggetto di critiche da parte di Urasawa. Le sette, in particolar modo quella dell’Amico, sono esperte nel traviare con le parole, e non solo, i più deboli, coloro che si sentono abbandonati dalla società e cercano disperatamente qualcosa in cui credere. In questo modo, la Setta dell’Amico fa sempre più proseliti, fino a trasformarsi in una sorta di esercito. La guerra, nei termini in cui la intendiamo noi, non compare mai in “20th Century Boys”, ma nel corso della storia si vive costantemente con questo spettro a fare da indesiderato accompagnatore. Grandi sono le fortune della Setta dell’Amico, che, nel giro di qualche anno, finisce col diventare un partito politico. Proprio la politica è il secondo bersaglio polemico di Urasawa e, per quest’ultima, vale lo stesso discorso della religione. La politica, soprattutto se declinata nelle sue forme peggiori, ovvero quelle assolutisco-totalitariste, è in grado di smuovere le masse contro o a favore di qualcuno, di rendere popolare un simbolo e, soprattutto, di convincere le persone che il nero sia bianco e il bianco sia nero. La Setta dell’Amico, futuro partito politico, con la cui nascita coincidono tutta una serie di strani avvenimenti aventi luogo a Tokyo e non solo, vuole e riesce a convincere il popolo che un gruppo di eroi sia, in realtà, un gruppo di terroristi. E chi sono questi fantomatici eroi-terroristi? Ovviamente, i 20th Century Boys.
I ragazzi del ventesimo secolo formano un gruppo eterogeno di bambini che alle elementari passavano intere giornate insieme nella loro base segreta a fantasticare sul mondo e, cosa più importante, a come fare per salvarlo nel caso in cui la sua sicurezza fosse stata minacciata. Crescendo, i ragazzi si sono inevitabilmente persi di vista, ma quando il simbolo che hanno creato da giovani torna a vivere, affibbiato però ad un’oscura setta, ecco che la comitiva è chiamata a riunirsi sotto un’unica egida. La guida del gruppo è Kenji, un vero paladino della giustizia, fermamente convinto che la musica, in particolar modo quella rock, possa cambiare il mondo e, in fondo, tutti i torti non ce li ha. Con la sua musica, Kenji riesce a smuovere gli animi delle persone, così come oggi riescono a farlo i fumetti. Al suo fianco, c’è la spalla destra di cui tutti avrebbero bisogno, Occio, il classico tipo ‘poche parole e tanti fatti’ che non conviene in alcun modo far incazzare. La vita non è stata clemente con lui, portandogli via il figlio piccolo; inutile dire che da quel giorno egli non è stato più lo stesso. Poi, ci sono Mauro e Yoshitsune. Il primo è un bonaccione, uno a cui è difficile non volere bene, infatti, nonostante la sua stazza, non incuterebbe il minimo timore neanche ad una farfalla. Il secondo, il mio preferito, è un tipo timido e occhialuto, a cui la vita ha rifilato troppe delusioni, eppure lui ha sempre saputo rialzarsi. Nei momenti difficili, anche se controvoglia, è sempre pronto a prendere le redini della situazione, come solo un vero leader sa fare. Con la cazzuta ed irreprensibile Yukiji, il nucleo del gruppo, quello sempre presente nel corso dei 22+2 volumi del manga, è al completo. In ogni gruppo che si rispetti c’è bisogno del tocco femminile, per quanto poi, Yukiji, abbia molto spesso degli atteggiamenti da vero maschiaccio. Nonostante siano meno presenti nel corso della storia, meritano di essere nominati anche gli altri comprimari: Mon-chan, Croakki, Donkey, Konchi e Sadakiyo, uno dei personaggi con la crescita migliore di tutta l’opera. Estranea alla comitiva di amici, ma co-protagonista della storia è Kana Endo, la nipote di Kenji. Una ragazza carina, carismatica e decisa, che sa decisamente il fatto suo. Ad un certo punto della storia, è lei a prendere in mano situazione e a lottare strenuamente contro l’Amico. A proposito di quest’ultimo, mi viene da dire che “20th Century Boys” non sarebbe lo stesso senza un villain di tale spessore e carisma. Nonostante non lo si veda quasi mai in faccia e la sua identità sia a dir poco fumosa, tale da renderlo quasi una figura evanescente, l’Amico è un villain con la ‘v’ maiuscola. Membro del gruppo di amici d’infanzia, l’Amico dimostrerà grande ingegno nel mettere in atto quanto scritto dai ragazzi sul “Libro delle Profezie” e, ancor di più, nel riuscire a far prostrare l’intero mondo ai suoi piedi. L’Amico è leader politico e religioso carismatico, manipolatore di prima categoria, mente geniale in grado di portare scompiglio nel mondo e astuto figlio di buona donna sempre un passo avanti ai suoi “inseguitori”. Insomma, un villain che merita di essere chiamato con questo appellativo, di cui i ragazzi del ventesimo secolo cercheranno di scoprire continuamente l’identità, grande leitmotiv dell’intero manga.
Ad una storia avvincente e ad un ventaglio di personaggi così ben assortito, nemici compresi, basta aggiungere i disegni ai limiti della perfezione di Naoki Urasawa per creare un manga incredibile, che, però, perfetto non è. Sono del parere che il mangaka potesse tralasciare alcuni capitoli e sottotrame, riducendo così il computo totale dei volumi, “21st Century Boys” compreso, a 20 invece di 24. Allo stesso modo, ritengo che non tutte le questioni siano state risolte adeguatamente e che alcune domande restino prive di una risposta veramente convincente, almeno per me. Infine, non ho particolarmente apprezzato il finale, il che non significa che non mi sia piaciuto, ma se tutta l’opera è stata un capolavoro, lo stesso non mi sento di dire a proposito del finale, che ho trovato molto, forse troppo equilibrato.
Come sempre, però, ciò che conta di più non è la meta bensì il viaggio, e vedere i ragazzi del ventesimo secolo, persone comuni chiamate a salvare il mondo dalla distruzione, diventare ragazzi del ventunesimo secolo, mi ha emozionato parecchio, molto più di quanto non sarebbe riuscito a fare il finale perfetto di un’opera mediocre.
Ideato dalla mente geniale del celebre Naoki Urasawa, “20th Century Boys” è un manga di 22 volumi pubblicato sulla rivista Big Comic Spirits della casa editrice Shogakukan a partire dal 1999 e conclusosi nel 2006, la cui storia trova degna conclusione nel successivo “21st Century Boys”, manga sequel dell’opera originale, che conta appena due volumi. L'opera si è aggiudicata il Kodansha Manga Award nella categoria generale nel 2001, il Premio eccellenza al Japan Media Arts Festival Award del 2002, il Shogakukan Manga Award nella categoria generale nel 2003 e il Seiun Award come miglior manga nel 2008.
Un robot, un'organizzazione malvagia, degli eroi che la combattono, gli alieni, un terribile virus... un nuovo manga di azione? No… semplicemente il gioco di un gruppo di bambini che dalla loro base segreta sognavano un futuro in cui salvavano il mondo da una terribile minaccia. Chi l'avrebbe detto che il quaderno in cui scrivevano e disegnavano le loro idee sarebbe diventato la nuova Bibbia? Sono passati parecchi anni, ormai tutti sono cresciuti, quando alcuni eventi mettono in moto il lento meccanismo della memoria che li costringerà a ricordare i giorni della loro infanzia, la chiave per capire la minaccia che a breve avrebbe colpito l'intera umanità. Qualcuno sta cercando di realizzare il loro gioco, e ci riuscirà, a meno che loro non riescano a fermarlo. Questo qualcuno è l'Amico, che utilizza come stemma proprio il logo che da bambini avevano inventato. Ma chi è l'Amico? Come fa a conoscere il contenuto del loro quaderno? E cosa potranno fare loro, un gruppetto di persone comunissime, contro una simile minaccia?
“20th Century Boys” di Naoki Urasawa è uno di quei thriller politici che ti entra dentro e ti spinge a cercare da solo le risposte che, per forza di cose, è costretto a darti l’autore entro la fine dell’opera, anche se non è sempre detto. La storia di Urasawa è di quelle enigmatiche, in grado di catturare e appassionare completamente il lettore, che, come nel mio caso, si trova spesso ad avanzare delle supposizioni circa i fatti che si susseguono ininterrotti, chiaro sintomo di grande partecipazione. Mai come nel caso di “20th Century Boys”, è necessaria una lettura attiva, unica soluzione se si vuole seguire passo dopo passo l’autore sulla strada da esso tracciata. Urasawa costruisce la sua opera muovendosi su più linee temporali, con un continuo alternarsi di scene del presente e flashbacks. Passato e presente vivono di una corrispondenza perfetta, tant’è che i continui “salti temporali” sono tutt’altro che fastidiosi, nonché essenziali ai fini della trama, che si presenta come un grandissimo puzzle di cui, a poco a poco, vengono forniti tutti, o quasi, i pezzi. Al centro di questo enorme puzzle c’è un simbolo, quello di un vecchio gruppo di amici d’infanzia nel passato, utilizzato nel presente da una strana setta religiosa, la Setta dell’Amico. La proliferazione di sette nel Giappone di fine millennio, paese dalla grande libertà di culto, nonché la religione stessa diventano oggetto di critiche da parte di Urasawa. Le sette, in particolar modo quella dell’Amico, sono esperte nel traviare con le parole, e non solo, i più deboli, coloro che si sentono abbandonati dalla società e cercano disperatamente qualcosa in cui credere. In questo modo, la Setta dell’Amico fa sempre più proseliti, fino a trasformarsi in una sorta di esercito. La guerra, nei termini in cui la intendiamo noi, non compare mai in “20th Century Boys”, ma nel corso della storia si vive costantemente con questo spettro a fare da indesiderato accompagnatore. Grandi sono le fortune della Setta dell’Amico, che, nel giro di qualche anno, finisce col diventare un partito politico. Proprio la politica è il secondo bersaglio polemico di Urasawa e, per quest’ultima, vale lo stesso discorso della religione. La politica, soprattutto se declinata nelle sue forme peggiori, ovvero quelle assolutisco-totalitariste, è in grado di smuovere le masse contro o a favore di qualcuno, di rendere popolare un simbolo e, soprattutto, di convincere le persone che il nero sia bianco e il bianco sia nero. La Setta dell’Amico, futuro partito politico, con la cui nascita coincidono tutta una serie di strani avvenimenti aventi luogo a Tokyo e non solo, vuole e riesce a convincere il popolo che un gruppo di eroi sia, in realtà, un gruppo di terroristi. E chi sono questi fantomatici eroi-terroristi? Ovviamente, i 20th Century Boys.
I ragazzi del ventesimo secolo formano un gruppo eterogeno di bambini che alle elementari passavano intere giornate insieme nella loro base segreta a fantasticare sul mondo e, cosa più importante, a come fare per salvarlo nel caso in cui la sua sicurezza fosse stata minacciata. Crescendo, i ragazzi si sono inevitabilmente persi di vista, ma quando il simbolo che hanno creato da giovani torna a vivere, affibbiato però ad un’oscura setta, ecco che la comitiva è chiamata a riunirsi sotto un’unica egida. La guida del gruppo è Kenji, un vero paladino della giustizia, fermamente convinto che la musica, in particolar modo quella rock, possa cambiare il mondo e, in fondo, tutti i torti non ce li ha. Con la sua musica, Kenji riesce a smuovere gli animi delle persone, così come oggi riescono a farlo i fumetti. Al suo fianco, c’è la spalla destra di cui tutti avrebbero bisogno, Occio, il classico tipo ‘poche parole e tanti fatti’ che non conviene in alcun modo far incazzare. La vita non è stata clemente con lui, portandogli via il figlio piccolo; inutile dire che da quel giorno egli non è stato più lo stesso. Poi, ci sono Mauro e Yoshitsune. Il primo è un bonaccione, uno a cui è difficile non volere bene, infatti, nonostante la sua stazza, non incuterebbe il minimo timore neanche ad una farfalla. Il secondo, il mio preferito, è un tipo timido e occhialuto, a cui la vita ha rifilato troppe delusioni, eppure lui ha sempre saputo rialzarsi. Nei momenti difficili, anche se controvoglia, è sempre pronto a prendere le redini della situazione, come solo un vero leader sa fare. Con la cazzuta ed irreprensibile Yukiji, il nucleo del gruppo, quello sempre presente nel corso dei 22+2 volumi del manga, è al completo. In ogni gruppo che si rispetti c’è bisogno del tocco femminile, per quanto poi, Yukiji, abbia molto spesso degli atteggiamenti da vero maschiaccio. Nonostante siano meno presenti nel corso della storia, meritano di essere nominati anche gli altri comprimari: Mon-chan, Croakki, Donkey, Konchi e Sadakiyo, uno dei personaggi con la crescita migliore di tutta l’opera. Estranea alla comitiva di amici, ma co-protagonista della storia è Kana Endo, la nipote di Kenji. Una ragazza carina, carismatica e decisa, che sa decisamente il fatto suo. Ad un certo punto della storia, è lei a prendere in mano situazione e a lottare strenuamente contro l’Amico. A proposito di quest’ultimo, mi viene da dire che “20th Century Boys” non sarebbe lo stesso senza un villain di tale spessore e carisma. Nonostante non lo si veda quasi mai in faccia e la sua identità sia a dir poco fumosa, tale da renderlo quasi una figura evanescente, l’Amico è un villain con la ‘v’ maiuscola. Membro del gruppo di amici d’infanzia, l’Amico dimostrerà grande ingegno nel mettere in atto quanto scritto dai ragazzi sul “Libro delle Profezie” e, ancor di più, nel riuscire a far prostrare l’intero mondo ai suoi piedi. L’Amico è leader politico e religioso carismatico, manipolatore di prima categoria, mente geniale in grado di portare scompiglio nel mondo e astuto figlio di buona donna sempre un passo avanti ai suoi “inseguitori”. Insomma, un villain che merita di essere chiamato con questo appellativo, di cui i ragazzi del ventesimo secolo cercheranno di scoprire continuamente l’identità, grande leitmotiv dell’intero manga.
Ad una storia avvincente e ad un ventaglio di personaggi così ben assortito, nemici compresi, basta aggiungere i disegni ai limiti della perfezione di Naoki Urasawa per creare un manga incredibile, che, però, perfetto non è. Sono del parere che il mangaka potesse tralasciare alcuni capitoli e sottotrame, riducendo così il computo totale dei volumi, “21st Century Boys” compreso, a 20 invece di 24. Allo stesso modo, ritengo che non tutte le questioni siano state risolte adeguatamente e che alcune domande restino prive di una risposta veramente convincente, almeno per me. Infine, non ho particolarmente apprezzato il finale, il che non significa che non mi sia piaciuto, ma se tutta l’opera è stata un capolavoro, lo stesso non mi sento di dire a proposito del finale, che ho trovato molto, forse troppo equilibrato.
Come sempre, però, ciò che conta di più non è la meta bensì il viaggio, e vedere i ragazzi del ventesimo secolo, persone comuni chiamate a salvare il mondo dalla distruzione, diventare ragazzi del ventunesimo secolo, mi ha emozionato parecchio, molto più di quanto non sarebbe riuscito a fare il finale perfetto di un’opera mediocre.