Recensione
Pompo, la Cinefila
9.0/10
[b[Attenzione: le recensione contiene spoiler![/b]
Premetto che mi è piaciuto.
Premetto che il mio voto è nove.
Premetto che - nonostante quanto detto prima - parlerò più male che bene di quest’opera che parla di cinema in modo troppo idealizzato: i film possono essere belli, ma chi li produce spesso il male di vivere conosce. Non parlerò di chi è dipendente da droghe, alcol o sesso, la violenza dietro ad una vita che sembra da sogno. Parlerò della difficoltà di prendere questo film come oro colato.
Pompo, che dà il nome al film, è una produttrice, suo nonno l’ha cresciuta facendole guardare grandi film, ma lei imparava e si annoiava motivo per cui adesso produce film di serie B campioni di incassi al botteghino.
Anche sul modo con cui scegli i collaboratori c’è da dire e qui possiamo parlare male degli altri protagonisti: Gene Fini, aspirante regista, scelto perché sembrava uno sfigato: Pompo parlando di ciò ammette: "tutti gli altri sembravano avere una luce negli occhi di chi si è divertito nella vita... tu no!"
Mentre l’attrice protagonista – Nathalie Woodward – non ha superato il provino ed è precedentemente scartata da tutti, ma Pompo vede in lei una luce.
Non si sa come Pompo scriva la scenografia di un potenziale capolavoro, ma (per farla breve) ad un certo punto mancano i soldi e qui entra il quarto ragazzino (si perché tutti i tre precedenti hanno le sembianze di adolescenti) Alan Gardner il quale lavora in una banca i cui dirigenti non vogliono aprire una linea di credito.
E qui il colpo da maestro! Alan si vorrebbe licenziare ma essendo amico di Gene convince i suoi capi di finanziare la cosa: naturalmente li convince registrando e trasmettendo la riunione d’ufficio dove i vecchi banchieri (non avvertiti) fanno una magra figura: Alan parla di sogni e loro di soldi… si mi viene da ricordarmi Michael J. Fov in "Il segreto del mio successo"...
Insomma riepilogando: già dalla trama appare chiaro il buonismo di fondo della pellicola: il film che parla di film, che vorrebbe sembrare un po’ un tutorial e un po’ una favola, non riuscendo nella prima impresa ma riuscendo nella seconda.
Di certo lo si può definire un inno al cinema, ricordo però che non tutti gli inni possono piacere siano essi poesia o qualcosa che sublimi un argomento.
Insomma il film ha delle basi deboli che porterà molti a giudicarlo negativamente, si potrebbe dire che pecca specialmente di ingenuità, ma se si guarda scollegando il cervello è molto carino: confermo il mio nove.
Premetto che mi è piaciuto.
Premetto che il mio voto è nove.
Premetto che - nonostante quanto detto prima - parlerò più male che bene di quest’opera che parla di cinema in modo troppo idealizzato: i film possono essere belli, ma chi li produce spesso il male di vivere conosce. Non parlerò di chi è dipendente da droghe, alcol o sesso, la violenza dietro ad una vita che sembra da sogno. Parlerò della difficoltà di prendere questo film come oro colato.
Pompo, che dà il nome al film, è una produttrice, suo nonno l’ha cresciuta facendole guardare grandi film, ma lei imparava e si annoiava motivo per cui adesso produce film di serie B campioni di incassi al botteghino.
Anche sul modo con cui scegli i collaboratori c’è da dire e qui possiamo parlare male degli altri protagonisti: Gene Fini, aspirante regista, scelto perché sembrava uno sfigato: Pompo parlando di ciò ammette: "tutti gli altri sembravano avere una luce negli occhi di chi si è divertito nella vita... tu no!"
Mentre l’attrice protagonista – Nathalie Woodward – non ha superato il provino ed è precedentemente scartata da tutti, ma Pompo vede in lei una luce.
Non si sa come Pompo scriva la scenografia di un potenziale capolavoro, ma (per farla breve) ad un certo punto mancano i soldi e qui entra il quarto ragazzino (si perché tutti i tre precedenti hanno le sembianze di adolescenti) Alan Gardner il quale lavora in una banca i cui dirigenti non vogliono aprire una linea di credito.
E qui il colpo da maestro! Alan si vorrebbe licenziare ma essendo amico di Gene convince i suoi capi di finanziare la cosa: naturalmente li convince registrando e trasmettendo la riunione d’ufficio dove i vecchi banchieri (non avvertiti) fanno una magra figura: Alan parla di sogni e loro di soldi… si mi viene da ricordarmi Michael J. Fov in "Il segreto del mio successo"...
Insomma riepilogando: già dalla trama appare chiaro il buonismo di fondo della pellicola: il film che parla di film, che vorrebbe sembrare un po’ un tutorial e un po’ una favola, non riuscendo nella prima impresa ma riuscendo nella seconda.
Di certo lo si può definire un inno al cinema, ricordo però che non tutti gli inni possono piacere siano essi poesia o qualcosa che sublimi un argomento.
Insomma il film ha delle basi deboli che porterà molti a giudicarlo negativamente, si potrebbe dire che pecca specialmente di ingenuità, ma se si guarda scollegando il cervello è molto carino: confermo il mio nove.