Recensione
Michiko e Hatchin
8.0/10
Arrivata sui nostri schermi appena pochi mesi dopo la trasmissione in patria, Michiko & Hatchin si è rivelata la sorpresa dell’Anime Night 2008/2009, anche se, diciamolo pure, non è che ci fosse una gran concorrenza: il pessimo Nabari, il deludente atto terzo di Full Metal Panic e infine Death Note, serie molto appassionante la prima volta che si guarda, ma che già alla seconda visione perde gran parte del suo fascino.
Sin dai primissimi minuti questo anime colpisce in positivo, dimostrando di voler proporre allo spettatore qualcosa di nuovo e originale, a partire dall’ambientazione: un Sud America “alternativo” i cui abitanti hanno nomi tipicamente nipponici e cognomi latini!
Protagoniste della vicenda sono due fanciulle niente affatto indifese: la bella e tosta Michiko Malandro, criminale evasa dal carcere dopo 12 anni di prigionia, e la piccola Hana (ribattezzata in seguito Hatchin), orfana di 10 anni che conduce un’esistenza in perfetto stile Cenerentola dato che la sua famiglia adottiva, dichiaratamente interessata solo all’assegno di mantenimento della bambina, la tratta come una schiava. Le due non hanno nulla in comune e non si sono mai viste, ma tutto cambia quando Michiko piomba in casa di Hatchin (in moto!) con l’intento di rapirla. Il motivo? Semplice, la bambina è molto probabilmente figlia di Hiroshi Morenos, grande e indimenticato amore di Michiko, in teoria morto da 11 anni. Suvvia, come è possibile che uno morto da 11 anni abbia una figlia che ne ha 10 scarsi? Appunto, forse Hiroshi non è davvero defunto, e forse Hatchin ha qualche idea su dove trovarlo. E anche se così non fosse, usare la bambina come pretesto per riavvicinarsi al vecchio amante non è una cattiva idea, giusto?
Le due partono dunque in cerca di Hiroshi e l’anime racconta proprio le varie tappe del loro viaggio, durante il quale non mancheranno gli imprevisti e le incomprensioni.
So cosa state pensando: ho detto che la serie è originale, ma voi non vedete nulla di così innovativo in questa storia. E avete ragione: la trama di base non è che una tipica avventura on the road in cui le protagoniste visitano luoghi e incontrano persone.
Il punto è che M&H non punta tanto sulla trama, quanto piuttosto sulla caratterizzazione dei personaggi: il viaggio è solo un pretesto per poter vedere le due confrontarsi tra loro o con pittoreschi comprimari che le coinvolgeranno nelle situazioni più disparate, dalle più grottesche fino a quelle più ciniche e amare, un po’ come succedeva in Cowboy Bebop, con la differenza che qui ogni puntata riesce a legarsi almeno in minima parte alla storia principale.
E per quanto riguarda le psicologie, la serie fa un lavoro egregio. I caratteri delle protagoniste partono sì da stereotipi - la dura dal cuore tenero e la ragazzina più riflessiva e matura degli adulti -, ma vengono sviluppati benissimo: la loro evoluzione è credibile, le reazioni realistiche, e se questo non vi sembra un motivo per gridare al miracolo pensate a tutte le volte in cui avete visto un personaggio di un anime che, per motivi di sceneggiatura o pessima caratterizzazione, si comporta in modo contrario ad ogni logica umana o addirittura incoerentemente rispetto a quella che dovrebbe essere la sua personalità.
Anche i vari personaggi secondari strappano applausi: nonostante il poco tempo a disposizione (a parte 3-4 ricorrenti, ciascuno di loro termina il suo ruolo nel giro di un episodio), si riesce a definire almeno in parte la storia e la personalità di ognuno e tutti, chi più chi meno, riescono ad offrire qualcosa. Alcuni a dire il vero avrebbero meritato più spazio, anche perché certe faccende rimangono in sospeso (lasciatemi citare almeno i due killer dell’episodio 14, uno spasso!), ma d'altronde Michiko & Hatchin sono in viaggio braccate da bande criminali e dalla polizia, e noi stiamo seguendo loro due…
Parlando del lato tecnico, non posso che spendere parole di lode: l’animazione è complessivamente molto buona, e così pure i disegni (tranne nell’episodio 19, inguardabili), i fondali e la colonna sonora. Ottimo anche il doppiaggio italiano.
Fino all’episodio 21 il mio voto era un 9, ma ho cambiato idea per via del finale: mi ha lasciato a bocca aperta, ma non in senso positivo! L’ho trovato davvero deludente, ma non per via del personaggio di Hiroshi - era chiaro già da un po’ che fosse Michiko ad idealizzarlo -, parlo di ciò che accade nell’intero episodio: una conclusione non solo molto banale e sottotono rispetto a quanto visto in precedenza, ma per di più raggiunta in modo frettoloso e anche un po’ forzato, con tanto di riciclaggio di uno degli espedienti più abusati e prevedibili che ci siano (scambio di pistole). Per la serie: deve finire così e deve farlo in 20 minuti.
Forse sono stata fin troppo severa, dopotutto si tratta di un solo episodio su 22, ma per me è stato veramente un pessimo modo di chiudere.
Comunque, finale a parte, Michiko & Hatchin è stata una delle migliori serie che siano state trasmesse negli ultimi anni nel nostro paese e, nel caso non l’abbiate seguita in TV, non posso che consigliarvi caldamente di recuperarla.
Sin dai primissimi minuti questo anime colpisce in positivo, dimostrando di voler proporre allo spettatore qualcosa di nuovo e originale, a partire dall’ambientazione: un Sud America “alternativo” i cui abitanti hanno nomi tipicamente nipponici e cognomi latini!
Protagoniste della vicenda sono due fanciulle niente affatto indifese: la bella e tosta Michiko Malandro, criminale evasa dal carcere dopo 12 anni di prigionia, e la piccola Hana (ribattezzata in seguito Hatchin), orfana di 10 anni che conduce un’esistenza in perfetto stile Cenerentola dato che la sua famiglia adottiva, dichiaratamente interessata solo all’assegno di mantenimento della bambina, la tratta come una schiava. Le due non hanno nulla in comune e non si sono mai viste, ma tutto cambia quando Michiko piomba in casa di Hatchin (in moto!) con l’intento di rapirla. Il motivo? Semplice, la bambina è molto probabilmente figlia di Hiroshi Morenos, grande e indimenticato amore di Michiko, in teoria morto da 11 anni. Suvvia, come è possibile che uno morto da 11 anni abbia una figlia che ne ha 10 scarsi? Appunto, forse Hiroshi non è davvero defunto, e forse Hatchin ha qualche idea su dove trovarlo. E anche se così non fosse, usare la bambina come pretesto per riavvicinarsi al vecchio amante non è una cattiva idea, giusto?
Le due partono dunque in cerca di Hiroshi e l’anime racconta proprio le varie tappe del loro viaggio, durante il quale non mancheranno gli imprevisti e le incomprensioni.
So cosa state pensando: ho detto che la serie è originale, ma voi non vedete nulla di così innovativo in questa storia. E avete ragione: la trama di base non è che una tipica avventura on the road in cui le protagoniste visitano luoghi e incontrano persone.
Il punto è che M&H non punta tanto sulla trama, quanto piuttosto sulla caratterizzazione dei personaggi: il viaggio è solo un pretesto per poter vedere le due confrontarsi tra loro o con pittoreschi comprimari che le coinvolgeranno nelle situazioni più disparate, dalle più grottesche fino a quelle più ciniche e amare, un po’ come succedeva in Cowboy Bebop, con la differenza che qui ogni puntata riesce a legarsi almeno in minima parte alla storia principale.
E per quanto riguarda le psicologie, la serie fa un lavoro egregio. I caratteri delle protagoniste partono sì da stereotipi - la dura dal cuore tenero e la ragazzina più riflessiva e matura degli adulti -, ma vengono sviluppati benissimo: la loro evoluzione è credibile, le reazioni realistiche, e se questo non vi sembra un motivo per gridare al miracolo pensate a tutte le volte in cui avete visto un personaggio di un anime che, per motivi di sceneggiatura o pessima caratterizzazione, si comporta in modo contrario ad ogni logica umana o addirittura incoerentemente rispetto a quella che dovrebbe essere la sua personalità.
Anche i vari personaggi secondari strappano applausi: nonostante il poco tempo a disposizione (a parte 3-4 ricorrenti, ciascuno di loro termina il suo ruolo nel giro di un episodio), si riesce a definire almeno in parte la storia e la personalità di ognuno e tutti, chi più chi meno, riescono ad offrire qualcosa. Alcuni a dire il vero avrebbero meritato più spazio, anche perché certe faccende rimangono in sospeso (lasciatemi citare almeno i due killer dell’episodio 14, uno spasso!), ma d'altronde Michiko & Hatchin sono in viaggio braccate da bande criminali e dalla polizia, e noi stiamo seguendo loro due…
Parlando del lato tecnico, non posso che spendere parole di lode: l’animazione è complessivamente molto buona, e così pure i disegni (tranne nell’episodio 19, inguardabili), i fondali e la colonna sonora. Ottimo anche il doppiaggio italiano.
Fino all’episodio 21 il mio voto era un 9, ma ho cambiato idea per via del finale: mi ha lasciato a bocca aperta, ma non in senso positivo! L’ho trovato davvero deludente, ma non per via del personaggio di Hiroshi - era chiaro già da un po’ che fosse Michiko ad idealizzarlo -, parlo di ciò che accade nell’intero episodio: una conclusione non solo molto banale e sottotono rispetto a quanto visto in precedenza, ma per di più raggiunta in modo frettoloso e anche un po’ forzato, con tanto di riciclaggio di uno degli espedienti più abusati e prevedibili che ci siano (scambio di pistole). Per la serie: deve finire così e deve farlo in 20 minuti.
Forse sono stata fin troppo severa, dopotutto si tratta di un solo episodio su 22, ma per me è stato veramente un pessimo modo di chiudere.
Comunque, finale a parte, Michiko & Hatchin è stata una delle migliori serie che siano state trasmesse negli ultimi anni nel nostro paese e, nel caso non l’abbiate seguita in TV, non posso che consigliarvi caldamente di recuperarla.